Ospedale psichiatrico provinciale Paolo Pini

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A causa del sovraffollamento dell'Ospedale psichiatrico provinciale di Milano in Mombello, nei primi anni del Novecento la Provincia di Milano decise l’acquisto di un terreno nel quartiere di Affori, alla periferia nord della città, con l’intenzione di costruirvi ex novo un edificio da adibire a succursale manicomiale. Iniziati solamente al termine della prima guerra mondiale, i lavori di costruzione vennero ultimati tuttavia nel 1924; ma per ragioni di ordine economico la Provincia decise di affidare la gestione del nuovo istituto a una società privata. L’accordo prevedeva che la Provincia consegnasse la nuova struttura completamente arredata e, in cambio, la società privata s’impegnasse a gestire 75 posti letto per conto della Provincia stessa a una retta convenzionata massima di 500 lire mensili. Così facendo, i pazienti che potevano permetterselo avevano la possibilità di curarsi ad Affori senza dover ricorrere all’internamento manicomiale presso Mombello.
Nacque così Villa Fiorita, una struttura che poteva ospitare fino a 300 malati. La direzione venne affidata a Piero Gonzales, figlio di Edoardo (psichiatra attivissimo a Mombello), il quale, dopo la laurea a Pavia, aveva lavorato al manicomio di Reggio Emilia sotto la guida di Augusto Tamburini, continuando il perfezionamento con Forel a Zurigo, con Kraepelin a Monaco, con Nissl a Heidelberg e con Obersteiner a Vienna.
Nel 1939 la Provincia riprese in mano la gestione dell’istituto, che divenne allora un ospedale psichiatrico pubblico (mentre la casa di cura privata Villa Fiorita si trasferì a Brugherio) e subito ordinò lavori di ampliamento e ristrutturazione, durante i quali anche i laboratori vennero migliorati. Nel 1945 il manicomio di Affori, situato in via Ippocrate 45, fu intitolato allo psichiatra Paolo Pini, scomparso in quell’anno.
A partire dal secondo dopoguerra il "Paolo Pini" divenne l’ospedale psichiatrico più importante di Milano, scalzando il primato di Mombello, che fu per così dire relegato al ruolo di cronicario. Numerosi furono i miglioramenti introdotti dal personale: Vincenzo Beduschi promosse la costruzione di nuovi reparti, riconoscendo l’urgenza di realizzare una struttura d’isolamento per gli ospiti contagiosi e una sala operatoria per eseguire interventi chirurgici sui pazienti non trasportabili. Il direttore Antonino Neri diede avvio a corsi di addestramento più lunghi per gli infermieri (erano comprese anche lezioni di etica), creò una nuova sezione per adolescenti, fece ingrandire la biblioteca, mise radio e tv quasi in ogni reparto, allestì una sala cinematografica e attivò la compagnia filodrammatica interna. Inoltre, furono intensificati gli spettacoli teatrali e gli eventi musicali del corpo bandistico dell’ospedale, e vennero organizzati concerti di complessi esterni e gite all’aperto.
Tra il 1954 e il 1959 furono inaugurati tre nuovi reparti per i degenti, il padiglione della Direzione, il reparto di ricerche clinico-diagnostiche, la Scuola-convitto per le infermiere e la nuova Casa per le suore.
Grazie alla convenzione stipulata il 19 aprile 1958 tra Provincia e Università degli studi di Milano, nel 1959 il padiglione "Romeo Vuoli" ospitò la prima Clinica universitaria di psichiatria, diretta da Carlo Lorenzo Cazzullo (titolare dell’omonima cattedra, appena istituita: la prima separata dalla neurologia nell’Italia del dopoguerra). Dei complessivi 70 posti letto messi a disposizione, 30 vennero destinati alla cura dei bambini: da qui nel 1971 nacque formalmente la Clinica di neuropsichiatria infantile, diretta da Adriana Guareschi.
Non si trattava dell’unico “contatto” tra realtà universitaria e ospedaliera: il Paolo Pini venne infatti dotato di un laboratorio di psicologia che fu utilizzato anche da Cesare Musatti per ricerche ed esperimenti condotti negli anni in cui fu direttore dell’Istituto di psicologia presso la Facoltà di filosofia dell’Università.
Negli anni Sessanta vennero allestite sale operatorie neurochirurgiche per praticare leucotomie e lobotomie. Parallelamente, la creazione di nuovi laboratori di ergoterapia mirava alla valorizzazione della creatività dei pazienti attraverso la stimolazione all’arte e all’artigianato: nacquero così le prime botteghe d’arte interne al manicomio (1965).
Il "Paolo Pini" arrivò a ospitare fino a mille ricoverati, tra cui negli anni Sessanta la celebre poetessa Alda Merini. Chiuse definitivamente i battenti nel 1999, vent’anni dopo l’entrata in vigore della legge 180 che decretò la soppressione dei manicomi italiani.
Oggi è sede del Museo d’arte Paolo Pini (MAPP) e dell’Associazione per il recupero della creatività artistica e la riabilitazione psicosociale (ARCA onlus).
 
Elisa Montanari
23/09/2015

Bibliografia

Bozzi R. (1952). Rilievi e proposte intorno alla riorganizzazione dell’assistenza ospedaliera psichiatrica della Provincia di Milano
Cazzani E. (1952). Luci ed ombre nell’ospedale psichiatrico provinciale di Milano. Varese: La Tecnografica.
Ospedale psichiatrico Paolo Pini di Milano, sito web Spazi della follia

Fonti archivistiche

Università degli Studi di Milano, Centro Apice, Archivio storico, Archivio proprio, serie 7, Carteggio articolato sul titolario, b. 97.
 

Fonte iconografica

Archivio Città metropolitana di Milano, inv. ISI-01653
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