Clinica delle malattie nervose e mentali dell’Università di Roma

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L’origine della Clinica delle malattie nervose e mentali dell’Università di Roma risale al 1871, quando in base alla Convenzione tra la Regia Luogotenenza e gli Ospedali di Roma, siglata il 31 dicembre 1870, si dispose l’istituzione di una clinica psichiatrica all’interno del Manicomio di Santa Maria della Pietà, affidata al direttore del manicomio stesso, Giuseppe Girolami, che la mantenne fino al 1875. Successivi direttori furono Alessandro Solivetti (1881-1893), primo medico di sezione del Santa Maria della Pietà, grazie al quale le due sale di osservazione del manicomio divennero sale cliniche dirette dal professore di psichiatria, e Clodomiro Bonfigli (1893-1895).
La fondazione vera e propria di quella che a partire dal 1920 prenderà il nome di Clinica delle malattie nervose e mentali si deve tuttavia allo sforzo innovatore di due luminari della psichiatria italiana: Ezio Sciamanna e Augusto Tamburini.
Durante il suo mandato, dal 1895 al 1905, Sciamanna (allievo di Charcot e di Benedikt, già titolare della prima cattedra italiana di neuropatologia in Italia, conferitagli da Guido Baccelli nel 1883) si adoperò per rendere la clinica indipendente dal manicomio, creando una sede distaccata e autonoma in via Penitenzieri 13 e riorganizzando complessivamente le attività di ricerca scientifica e clinica. A sua volta, il manicomio di Santa Maria della Pietà venne trasferito, a partire dal 1914, in un’ampia sede alla periferia romana. La Clinica di via Penitenzieri, ubicata alle spalle dell’Ospedale Santo Spirito, aveva due reparti, maschile e femminile, con 12 letti ciascuno, un laboratorio, un ambulatorio, un’aula per le lezioni e una biblioteca. Sciamanna si circondò anche di giovani collaboratori, tra cui Ugo Cerletti, con i quali fondò la Rivista di psichiatria e neuropatologia, che nel 1901 prese il nome di Annali dell’Istituto psichiatrico di Roma.
Il suo successore Tamburini (1905-1919), già direttore del manicomio modello San Lazzaro di Reggio Emilia, fu invece l’ideatore e l’artefice del progetto che, iniziato nel 1910 e conclusosi nel 1920, vide la collocazione della Clinica in via dell’Università 30, all’interno del complesso della Città universitaria ove ancora ha sede. Egli proseguì l’indirizzo di Sciamanna, con una maggiore attenzione alla fisiologia e alla fisiopatologia, ampliò i mezzi di laboratorio e diede alla clinica un carattere di vera e propria scuola, all’interno della quale andò crescendo in particolare il prestigio del Laboratorio di patologia di Cerletti.
Alla morte di Tamburini nel 1919, l’insegnamento passò per breve tempo a Sante De Sanctis, ordinario di psicologia. L’anno successivo la psichiatria si fuse, per decreto ministeriale, con la neurologia, dando vita alla nuova Clinica delle malattie nervose e mentali, affidata a Giovanni Mingazzini, il quale le conferì una marcata impronta neuropatologica. Durante i primi anni Venti, egli riorganizzò gli spazi, che annoveravano ora i reparti neurologico e psichiatrico, il pensionato per paganti, i gabinetti radiologico, istologico, sierologico, di chimica biologica, oftalmologico, elettroterapico e fotografico, l’ambulatorio e la biblioteca. Al primo piano vi era il reparto di neurologia, con 4 sale e 36 letti, oltre alle cucine, ai servizi, alle sale di soggiorno. Il piano terra ospitava invece il reparto di psichiatria, con una organizzazione simile.
Il successore di Mingazzini, ancora Sante De Sanctis (1930-1935), impresse un’ulteriore spinta innovatrice. Già noto per i suoi studi sul disagio psico-fisico nei bambini, egli istituì nel 1930 la sezione dedicata ai minori, il Reparto III, ossia il primo reparto italiano di neuropsichiatria infantile. In questo campo introdusse inoltre la categoria diagnostica di dementia precocissima. Se ne trova traccia documentale nelle cartelle dei pazienti minori accolti nella Clinica, così come è documentato l’ampio utilizzo dei test cognitivi per bambini e adolescenti entrati in uso agli inizi del Novecento: il Simon-Binet e il labirinto De Sanctis che servivano a quantificare il grado di ritardo cognitivo.
La Clinica ospitava al proprio interno un Ambulatorio per le visite periodiche di controllo e un Servizio clinico, in cui i pazienti erano accolti, visitati e trattenuti per poco tempo e poi inviati o in famiglia, in istituti esterni, in altri reparti del Policlinico Umberto I, in manicomio o, nel caso di bambini giudicati recuperabili o parzialmente recuperabili, nell’Istituto psico-pedagogico Principe di Piemonte, ubicato presso uno dei padiglioni del Santa Maria della Pietà. Il rapporto tra la Clinica e il manicomio romano rimase, dunque, molto stretto. La stragrande maggioranza dei pazienti (adulti e minori) ricoverati al Santa Maria della Pietà provenivano proprio dalla Clinica romana, che dunque divenne una sorta di centro territoriale di prima assistenza.
La Clinica salì alla ribalta internazionale nei primi anni Quaranta, grazie al successo e alla rapida diffusione della terapia elettroconvulsiva (elettroshock), inventata, testata e applicata per la prima volta, sia negli adulti che nei minori, dal nuovo direttore Ugo Cerletti (1935-1948) e dal suo gruppo di ricerca (che annoverava, tra gli altri, Lucio Bini, Federico Accornero, Lothar Kalinowski). Cerletti importò inoltre le nuove terapie che nella seconda metà degli anni Trenta stavano trovando ottimi riscontri clinici: la malarioterapia e la terapia convulsivante a base di canfora (prima) e di cardiazol (dopo). Il modello dei primi apparecchi utilizzati si trova conservato nei locali del Museo di Storia della Medicina della Sapienza Università di Roma, che sorge attualmente a fianco la Clinica.
Nel corso dei cento anni dalla sua collocazione all’interno della Città universitaria, la Clinica romana ha visto avvicendarsi alla sua guida, dopo Cerletti, Vittorio Challiol (1948-1951), Mario Gozzano dal 1952, Cornelio Fazio dal 1969, Giuseppe Donini dal 1980, Giancarlo Reda, Paolo Pancheri (scomparso prematuramente nel 2007) e, attualmente, Massimo Biondi (direttore assistenziale del Dipartimento di neuroscienze umane del Policlinico Umberto I).
A seguito della legge 180 del 1978, per avviare concretamente la deistituzionalizzazione del paziente psichiatrico, Donini organizzò – dove in precedenza si trovava il reparto femminile – il reparto di Day Hospital che, operativo già dal 1980, diventò il primo DH psichiatrico in Italia. Vennero così intrapresi quegli interventi terapeutici orientati all’ascolto, alla comprensione, al contenimento dei pazienti attraverso il trattamento integrato a base di farmaci e psicoterapie individuali e di gruppo, comprese varie esperienze di arteterapia e di terapia occupazionale.
 
Emiliano Loria
12/01/2021
 

Bibliografia

Babini, V. (2009). Liberi tutti. Manicomi e psichiatri in Italia: una storia del Novecento. Bologna: Il Mulino.
Cerletti, U. (1940). L’elettroshock. Rivista sperimentale di freniatria, 18, 209-310.
Coccanari de’ Fornari, M.A., Iannitelli, A., & Biondi, M. (2017). Storia della Clinica psichiatrica della Sapienza Università di Roma nel Policlinico Umberto I. Rivista di psichiatria, 52(1), 1-8.
Fiorani, M. (2011). Giovanni Bollea (1913-2011). Per una storia della neuropsichiatria infantile in Italia. Medicina&Storia, 11(21-22), 251-276.
Loria, E. (2020). A desirable convulsive threshold. Some reflections about Electroconvulsive Therapy (ECT). European Journal of Analytic Philosophy, 16(2), 123-144.
Passione, R. (2007). Ugo Cerletti. Il romanzo dell'elettroshock. Reggio Emilia: Aliberti.
Sartori, E. (2014). Bambini dentro. I minori in ospedale psichiatrico nel XX secolo: il caso del S. Maria della Pietà di Roma. Trento: Edizioni del Faro. 
Sirgiovanni, E., & Aruta, A. (2020). The electroshock triangle: Disputes about the ECT apparatus prototype and its display in the 1960s. History of Psychiatry, 31(3), 311-324.

Fonte iconografica

Coccanari de’ Fornari, M.A., Iannitelli, A., & Biondi, M. (2017). Storia della Clinica psichiatrica della Sapienza Università di Roma nel Policlinico Umberto I. Rivista di psichiatria, 52(1), 1-8.
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