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Parte costitutiva dello strumento è il supporto ancorato al piano e dotato di morsetti che consentivano di fissare l'avambraccio e il dorso della mano all'altezza del carpo, mentre due ditali di ottone regolabili immobilizzavano l'indice e l'anulare lasciando libero il dito medio. Il "corsoio registratore" com'era definito da Mosso è il secondo elemento dell'apparecchio: posizionato all'interno di una guida che ne consentiva lo scorrimento, era dotato di due "uncini" a cui venivano legati da un lato il peso e dall'altro la corda per le trazioni.
Da un punto di vista tecnico va notato che le immagini dei primi ergografi non comprendevano il chimografo, che era tuttavia complementare all'ergografo, necessario al suo funzionamento, e definiva l'essenza stessa di un apparato finalizzato non solo alla sperimentazione, ma anche e soprattutto alla registrazione grafica del fenomeno indagato.
L'analisi ergografica, che aveva come scopo l'isolamento del lavoro di un singolo muscolo, veniva effettuata inserendo la prima falange del dito medio nell'anello della corda fissata al corsoio. Le trazioni, ritmate da un metronomo, sollevavano il peso e muovevano il corsoio che, grazie all'apparato di scrittura, lasciava traccia del movimento sulla carta del chimografo.
A partire dall'inizio degli anni novanta dell'Ottocento, Mosso aveva usato questa macchina per studiare l'ambiguità della "fatica": sottoposta a una misurazione rigorosa, rivelava la sua natura di fenomeno "personale", soggetto a variabili di origine sia fisica che psicologica. Nel periodo successivo l'ergografo venne adattato all'esame della fatica di altri muscoli e venne sviluppato in modelli più sofisticati da Mariano Luigi Patrizi, Zaccaria Treves ed Emil Du Bois-Reymond.
Alcuni modelli evoluti dell'ergografo sono presenti nel catalogo degli strumenti in vendita presso il costruttore di strumenti Zimmermann intorno al 1910.
Il funzionamento di un ergografo di Mosso è illustrato nel video qui riportato, realizzato dall'Archivio Scientifico e Tecnologico dell'Università degli Studi di Torino (ASTUT) e liberamente fruibile in rete.
Christian Carletti
Lombardo, P. G., Pompili, A., & Mammarella, V. (2002). Psicologia applicata e del lavoro in Italia. Studi storici. Milano: Franco Angeli.
Mosso, A. (1891). La fatica. Milano: Treves.
Passione, R. (2001). Mente e lavoro: le prime ricerche in Italia fra laboratorio e officina. Nuncius, 16, 211-235.
Sinatra, M. (2000). La psicofisiologia a Torino: A. Mosso e F. Kiesow. Lecce: Pensa multimedia.
L'incisione, pubblicata nel catalogo commerciale di Charles Verdin, rappresenta l'ergografo descritto da Angelo Mosso nell'opera La fatica (Milano, Treves, 1891) e in vendita presso il costruttore parigino.
Parte costitutiva dello strumento è il supporto ancorato al piano e dotato di morsetti che consentivano di fissare l'avambraccio e il dorso della mano all'altezza del carpo, mentre due ditali di ottone regolabili immobilizzavano l'indice e l'anulare lasciando libero il dito medio. Il "corsoio registratore" com'era definito da Mosso è il secondo elemento dell'apparecchio: posizionato all'interno di una guida che ne consentiva lo scorrimento, era dotato di due "uncini" a cui venivano legati da un lato il peso e dall'altro la corda per le trazioni.
Da un punto di vista tecnico va notato che le immagini dei primi ergografi non comprendevano il chimografo, che era tuttavia complementare all'ergografo, necessario al suo funzionamento, e definiva l'essenza stessa di un apparato finalizzato non solo alla sperimentazione, ma anche e soprattutto alla registrazione grafica del fenomeno indagato.
L'analisi ergografica, che aveva come scopo l'isolamento del lavoro di un singolo muscolo, veniva effettuata inserendo la prima falange del dito medio nell'anello della corda fissata al corsoio. Le trazioni, ritmate da un metronomo, sollevavano il peso e muovevano il corsoio che, grazie all'apparato di scrittura, lasciava traccia del movimento sulla carta del chimografo.
A partire dall'inizio degli anni novanta dell'Ottocento, Mosso aveva usato questa macchina per studiare l'ambiguità della "fatica": sottoposta a una misurazione rigorosa, rivelava la sua natura di fenomeno "personale", soggetto a variabili di origine sia fisica che psicologica. Nel periodo successivo l'ergografo venne adattato all'esame della fatica di altri muscoli e venne sviluppato in modelli più sofisticati da Mariano Luigi Patrizi, Zaccaria Treves ed Emil Du Bois-Reymond.
Alcuni modelli evoluti dell'ergografo sono presenti nel catalogo degli strumenti in vendita presso il costruttore di strumenti Zimmermann intorno al 1910.
Il funzionamento di un ergografo di Mosso è illustrato nel video qui riportato, realizzato dall'Archivio Scientifico e Tecnologico dell'Università degli Studi di Torino (ASTUT) e liberamente fruibile in rete.
Christian Carletti
Bibliografia
Corallini Vittori, A. G. (2006). Nel labirinto della psicologia sperimentale. La strumentazione del '900: catalogo (suis generis). Torino: Edizioni Angolo Manzoni.Lombardo, P. G., Pompili, A., & Mammarella, V. (2002). Psicologia applicata e del lavoro in Italia. Studi storici. Milano: Franco Angeli.
Mosso, A. (1891). La fatica. Milano: Treves.
Passione, R. (2001). Mente e lavoro: le prime ricerche in Italia fra laboratorio e officina. Nuncius, 16, 211-235.
Sinatra, M. (2000). La psicofisiologia a Torino: A. Mosso e F. Kiesow. Lecce: Pensa multimedia.