Ospizio Colombo (poi Casa di salute Varenna)

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Collocata in via San Vincenzo 36 a Milano, nel quartiere di Porta Genova, questa casa di cura privata fu aperta nel 1770 come piccola pensione per il ricovero dei pazzi. Le prime laconiche notizie che se ne hanno risalgono al 1823, quando la guida commerciale L’Interprete milanese indicava che nella struttura i ricoverati risultavano solo “una dozzina” e il direttore era il proprietario Andrea Colombo.
Nel 1833 l’ospizio fu “ampliato e abbellito” dagli eredi fratelli e sorella Colombo, “che non risparmiarono né cure né spese per renderlo in istato da non essere inferiore a qualsiasi altro di tal genere”, tanto che nel 1836 risultava ormai dotato di “molte stanze segregate, vasti dormitori, sale di ricreazione, locale pei bagni, e tutto quanto insomma può desiderarsi per il più esatto servizio”. Un “vasto giardino” circondava l’edificio su tre lati e contribuiva a renderlo “ameno e salubre”. Il ricovero poteva avvenire in regime di prima classe (stanza singola “bene mobigliata”) o di seconda classe (stanza a più letti), ma per i cosiddetti “furiosi” erano previste stanze separate. Nella retta, in generale, non erano comprese le spese per i medicinali e per i consulti richiesti dai parenti.
Contestualmente alla ristrutturazione dei primi anni Trenta dell’Ottocento, si assistette a un processo di professionalizzazione del personale, poiché la direzione dell’ospizio fu affidata dai proprietari a un medico, Antonio Bonati, coadiuvato da un chirurgo, Emanuele Bertoli (sostituito nel 1854 da Luigi Gemelli).
Una seconda opera di ampliamento della struttura venne realizzata nel 1843, ma la Guida di Milano non ne specifica l’entità.
La direzione di Bonati si protrasse fino alla sua morte, nel 1873, quando passò a due medici residenti nell’istituto: Achille Colombo e Giano Cattaneo. Quest’ultimo cessò l’attività nel 1880 e nel 1888 fu sostituito da Enrico Viscardi.
Dopo avere assunto sul finire dell’Ottocento il nome più moderno di “Stabilimento sanitario Colombo”, l’istituto fu acquistato intorno al 1894 da Edoardo Varenna, che ne assunse anche l’amministrazione. La direzione medica fu affidata ad Antonio Ripamonti, “specialista in nevropatologia e primario all’Ospedale Maggiore”, mentre Giovanni Brocca, “dirigente il comparto freniatrico dell’Ospedale Maggiore”, vi prestava la sua consulenza specialistica. La struttura fu rimodernata in quello stesso periodo e nel 1896 venne a comprendere due edifici: a quello originario collocato al numero 36 di via San Vincenzo, adibito a “Casa di salute per malattie mentali”, ne fu affiancato un altro al numero 38, adibito a “Casa di salute per malattie nervose semplici, unica in Milano designata a tale scopo esclusivo, autorizzata con decreto prefettizio 26 aprile 1895”. Il direttore era ora un professore universitario, Silvio Tonnini, già direttore dei manicomi di Girifalco e di Imola e da un paio d’anni docente di psichiatria all’Università di Cagliari, coadiuvato dal medico assistente Piero Parravicini, aiuto presso la Poliambulanza di Milano.
Nella Guida di Milano del 1898 la struttura era indicata come “Casa di salute Varenna” e vi compariva, accanto al proprietario e al direttore, l’assistente Ugo Fano, aiuto del neuropsichiatra Angelo De Vincenti presso la “sezione nervosa” della Poliambulanza di Milano e medico chirurgo dell’Ospedale Maggiore. Tra le cure somministrate ai pazienti, oltre all’elettroterapia, all’idroterapia, al massaggio e alla psicoterapia, comparivano la “cura Weir-Mitchell o di Playfair per l’isterismo e la nevrastenia” e la “cura di Frenkel per l’atassia locomotrice”. Specifiche sezioni erano destinate invece al recupero delle tossicodipendenze (tra cui il “morfinismo” e l’“etilismo”). Se nel complesso l’attenzione della struttura era ora rivolta prevalentemente alle “malattie nervose semplici” (probabilmente più redditizie), rimaneva pur sempre in attività anche la “casa separata al n. 36” destinata più specificamente alle malattie mentali.
Nel 1902, divenuta ormai “Casa di salute per le malattie mentali e nervose di Edoardo Varenna”, vantava di essere “l’unica in Milano di primo ordine, a distinte sezioni maschile e femminile per malattie nervose semplici, cerebrali, spinali, periferiche”. La Guida di Milano specificava che vi si parlavano le lingue francese, tedesco e inglese, segno che la ricca clientela era composta anche da stranieri. La struttura garantiva una “cura speciale per nevrosi cardiache, gastrointestinali, genitali, nonché per disturbi nervosi di autointossicazione (nefritica, diabetica, ecc.)”, mentre gli ammalati mentali erano curati “in riparti e giardini assolutamente divisi da quelli degli ammalati nervosi”. Vi erano inoltre “impianti e cure speciali” quali il “gabinetto elettrico” (con elettricità statica, faradica, galvanica, “franklinizzazione” e “bagno elettrico”), “bagni e docce fredde, temperate, alternate e scozzesi”, sale di ginnastica medica, “massaggio manuale ed elettrico” e psicoterapia. Nel campo dell’igiene e del “comfort” l’istituto era dotato di acqua potabile, fognatura, caloriferi centralizzati, illuminazione elettrica in tutte le camere, portici, giardini, cortili, sale di ritrovo, di lettura e di musica, bigliardo, salone di table d’hôte (ristorante con menu a prezzo fisso) e “camere semplici, medie e sontuose”.
Nel 1906 vi entrò in qualità di medico consulente Casimiro Mondino, direttore della Clinica neuropatologica dell’Università di Pavia, che dovette rimanervi poco tempo, poiché dal 1908 della casa di salute non vi è più traccia nelle Guide di Milano.
 
Paola Zocchi
15/12/2016

Bibliografia

Spoglio, a cura di Simone Forte, della voce “Case di cura per pazzi e mentecatti” presente nei periodici L'interprete milanese ossia Guida per l'anno… (editore Visaj) dal 1823 al 1828; Utile Giornale ossia Guida di Milano per l'anno…, (editore Bernardoni) dal 1826 al 1846; Guida di Milano per l'anno… (editore Bernardoni, poi Savallo) dal 1847 al 1920.
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