Dario Romano e la psicoanalisi (Francesca Trucchi)

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Il rapporto di Dario con la psicoanalisi c’è, ma non si vede! Tutto nasce con l’immagine di una cartella che Dario trasporta diligentemente, affiancando il suo maestro, il pioniere della psicoanalisi in Italia Cesare Musatti, cartella che non viene aperta; Dario fa dunque il portaborse. Che posizione straordinaria e fortunata essere il portaborse di Musatti! Così, per contiguità, osmosi e capillarità entra nelle vene, nel mondo interno, nella mente di Dario, la psicoanalisi. Al di là della burla, il rapporto di Dario con la psicoanalisi è apparentemente e ufficialmente critico se non addirittura conflittuale, come spesso può accadere nel rapporto con un padre con il quale ci si deve confrontare, pur avendo con lui un rapporto molto affettuoso e stretto. Dario eredita da Musatti l’amore per la matematica e la filosofia; la psicoanalisi è secondaria. Ma è grazie all’essere Musatti psicoanalista che Dario può occuparsi di psicologia con quel respiro ampio e con la libertà di vedute che solo un padre che ti lascia libero può trasmetterti, consentendoti di offrire una fondazione filosofica della psicologia che proprio in quel momento storico viene configurandosi. Dario ha in effetti “preso in mano”(come nel caso della cartella) l’istituzione e ha inventato, con molti altri colleghi e allora giovani allievi di Musatti, la psicologia dentro l’istituzione, adattandosi a quello che la cultura del momento storico offriva in quegli anni, dando origine alla psicologia come fatto sociale in Italia. Parliamo dei primi anni sessanta, delle iniziative di Adriano Olivetti, per citare l’esempio più illustre, grande sostenitore di questa disciplina con il Centro di psicologia organizzato a Ivrea e patrocinato peraltro da Musatti e dai suoi allievi, e di alcune, poche, altre situazioni. L’Italia vive in quegli anni, grazie al boom economico, il più grande cambiamento strutturale della storia del dopoguerra, ma il mutamento e il progresso sono solo in parte di natura culturale, e la scuola, l’università, la ricerca scientifica non riescono a tenere il passo con la crescita economica del Paese. Dario, nella condizione di povertà che caratterizza la nascita della psicologia, in posizione di leader, lavora, si batte ed esprime con costanza e sistematicità il coraggio dell’indipendenza. La sua “cartella” è davvero pesantissima da portare, ma il compito istituzionale e intellettuale gli è consentito grazie al pregresso allenamento giovanile, in parte inconsapevole, a fianco del maestro. Si pensi a cos’erano negli anni sessanta e settanta, la psicologia e la psicoanalisi! Fu appassionante per Dario confrontarsi, misurarsi e condurre le sue battaglie in ambito accademico con il coraggio che gli derivava dal pioniere della psicoanalisi. Nei tanti necrologi usciti dopo la sua morte anche Dario viene menzionato come un pioniere. A Dario, indisciplinato e amato allievo, Musatti lascerà la cattedra di psicologia designandolo quale suo successore. È limitativo dire che Musatti sia stato il maestro di Dario; fu di più, fu un incontro, il loro, proficuo e generoso. Si somigliavano nella gobba come nel naso e condividevano un profondo senso dell’istituzione. Dario dichiarava: “faccio il mio dovere”. Ritengo che il suo rapporto sotterraneo ed implicito con la psicoanalisi si sia proprio espresso in questo senso del dovere fortissimo nei confronti dell’istituzione, presentificando ai suoi allievi, come ai suoi due figli, un senso esemplare di moralità. Dario fu “figlio” di Musatti, lo testimonia il fatto che quasi tra loro non c’era bisogno di parlarsi, né di psicologia né di psicoanalisi, se non marginalmente. Musatti fu maestro di libertà, autorizzando in chi lo ascoltava e lo seguiva, la libertà di essere e di pensare: in questo Dario è figlio di Musatti psicoanalista. Musatti e Dario, dicevo, parlavano raramente di psicoanalisi e di solito per aneddoti ironici e divertenti, per esempio quando Dario lo prelevava a casa e lo riaccompagnava dopo la lezione, “portandogli la borsa”. Fu proprio attraverso quei trasporti della borsa, contenitore pieno di psicoanalisi, tenuta con le sue mani e la sua giovane età (26 anni) senza mai metterci dentro il naso, che per osmosi e assimilazione egli ebbe l’opportunità di assimilarsi ad un mondo così ricco come quello che il maestro con discrezione gli proponeva. Dario la psicoanalisi l’ha portata “a braccio, come si porta un neonato senza conoscere i minimi rudimenti dell’accudimento, e tuttavia con rispetto e amore. A partire quindi da comuni interessi riguardanti il cinema, la psicologia della percezione, le origini storiche della psicologia, lo studio della filosofia tedesca (interessi, questi ultimi, prevalentemente di Dario), i due chiacchieravano e trasportavano da casa all’università e viceversa, cullandolo, un neonato felicemente accudito. Dario ha accolto la psicoanalisi (teneva gli esami all’Università degli studi di Milano, come assistente, sul Trattato di psicoanalisi di Cesare Musatti) solo per compiacere il maestro. Non desidero in questa sede indagare le cause che potrebbero spiegare il non interesse scientifico per tale materia. È certo che il loro rapporto e la loro amicizia andava al di là della disciplina, forse proprio perché si trattava di quella disciplina! Musatti fu un padre distratto e preso dai propri interessi: era sempre Dario a leggere per primo i lavori del maestro e a commentarli con lui, raramente il contrario. Ritengo che sia stato fondante per Dario confrontarsi con un padre per nulla castrante; da ciò è nata la sua creatività, sua straordinaria compagna. Il rapporto di Dario con la psicoanalisi è profondo, inconscio, sotterraneo, è un tema di cui non si parlava, ma essa è alla base del suo essere stato uomo di scienza e dell’istituzione. Ecco, la psicoanalisi, in quel particolare modo in cui Musatti gliel’ha trasmessa, ha consentito a Dario di inventare la sua originale posizione di studioso, anche grazie al superamento dei suoi problemi nei confronti dell’autorità; quella con Musatti fu, dunque, una vera esperienza psicoanalitica. Da ciò sono discesi il poter esprimere una intelligenza lucida e puntuale, libera da ogni dogmatismo, e una curiosità intellettuale per diverse discipline: la filosofia in primis, l’arte, la storia, l’economia, la medicina, la matematica, e via dicendo. Quando conobbi Dario nel 1967, e ci sposammo nello stesso anno, mi chiese come unico vincolo o limite alla nostra unione, di non dedicarmi all’esercizio della professione di psicoanalista. Puntualmente ho fatto l’esatto contrario di quel che lui desiderava, mi sono dedicata da subito alla psicoanalisi che è la professione che esercito tuttora. Nonostante la giovanissima età, entrai subito in contatto con la sua ambivalenza verso una disciplina che in realtà lo attraeva e che voleva essere aiutato da me a respingere. ma io non collaborai! In seguito però, alla metà degli anni settanta, Dario si avvicinò alla psicoanalisi e intraprese un trattamento personale da cui trasse grandi suggestioni e indubbi vantaggi. Nel mettere pienamente in gioco la propria persona, ritrovò, credo, quel neonato a lungo trasportato a fianco del suo maestro, ma mai precedentemente davvero scoperto. Ricordo che malgrado il suo bisogno di mantenere una certa distanza, quel che mi ha sempre colpito in lui è il rispetto e quasi un timore reverenziale verso la psicoanalisi. Credo la identificasse con il padre Musatti in persona e con la moglie, quasi volesse consacrare ai due le proprie esperienze, la storia della sua vita, le sue fragilità, i suoi limiti, ma anche i suoi progetti e i suoi sogni. Infine questa grande apertura mentale ha fatto di Dario un personaggio capace di esprimere funzioni parentali, avvicinandosi egli ad impersonare la figura di un padre “analitico” con i suoi allievi e con i suoi figli. È stato definito “buono e accogliente” dai suoi colleghi che lo hanno ricordato in una giornata scientifica dopo la morte; sempre pronto a mettersi in discussione e a sperimentare il nuovo, dotato di una “capacità di reverie” per e verso gli oggetti del mondo che lo circondava. Cosa di più psicoanalitico? Padre “psicoanalitico” dunque, capace di presentificare questo senso di libertà, emanazione per eccellenza della psicoanalisi, cui non ha mai smesso di aspirare. “Non c’era bisogno di parlare con lui”, raccontava Dario di Musatti, e la stessa cosa, letteralmente, dicono di Dario i nostri figli. Il primo allievo di Dario, Francesco Paolo Colucci (allora poco più che ventenne), oggi tra i più stimati docenti in Italia, fu da subito protagonista della bella trasmissione transgenerazionale dei valori a cui Dario si è ispirato, valori accolti altresì da tutti gli allievi formati negli anni successivi. Dario, per chiudere, ha portato con ingenua consapevolezza quella borsa contenente i sogni, i ricordi, i pensieri di un mondo immaginato e voluto sempre più libero, sempre più aperto. “Siamo liberi e siamo istituzionali”, potrebbe essere indicato come il suo motto. Sono convinta che Dario senza la psicoanalisi non sarebbe assurto alla dimensione di scienziato che oggi una polifonia di voci gli attribuisce. L’immagine che mi resta di lui è quella di un uomo che sta “sopra”, che guarda “oltre”, affinché il pensiero possa circolare in maniera libera e generosa, “psicoanalitica” appunto! Credo infine che Dario sorriderebbe ironicamente, e forse un po’ commosso, a queste poche mie parole.

Francesca Trucchi Romano
20/06/2013
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