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Figlio di Adolfo, chimico-farmaceutico alla Carlo Erba, e di Gianna Pirola, medaglia d’oro al valore civile per aver prestato assistenza infermieristica agli ammalati di spagnola nel 1918, Augusto Guida (classe 1922) aveva lavorato fino a quel momento nelle cliniche neuropsichiatriche delle Università di Pavia, Modena e Milano: presso quest’ultima era stato assistente di Gildo Gastaldi. Aveva inoltre prestato servizio nel Manicomio di Como per circa un anno e mezzo (aprile 1953-settembre 1954). Ma la casa di cura progettata insieme a Saraval era pensata in maniera completamente differente.
La struttura nasceva infatti totalmente “aperta”, senza inferriate alle finestre, né chiavistelli alle porte; accoglieva tutte le patologie mentali (dalle nevrosi più lievi alle forme più gravi di schizofrenie e demenze); i famigliari dei ricoverati potevano entrare in qualunque momento, perché non erano stabiliti giorni e orari specifici per le visite. Completamente immersa nel verde, la casa di cura ospitava in camere singole fino a 50 malati, tutti volontari (trattandosi di una struttura privata, nessuno poteva essere ricoverato e trattenuto contro la sua volontà).
Il percorso terapeutico prevedeva una cura farmacologica sulla quale veniva innestato – laddove possibile – un intervento psicoterapico individuale a sfondo analitico. Inoltre, se da un lato la casa venne dotata fin dal principio di un atelier di pittura, non mancavano gli apparecchi per praticare l’elettroshock: nessuna terapia era infatti rigettata in linea di principio.
Il primo gruppo di lavoro era costituito, oltre che da Guida e Saraval, da Angelo Oliva, Giuseppe Frangini e Roberto Bertolli.
Tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta del Novecento vennero introdotti strumenti diagnostici per praticare esami di laboratorio, quali ecografie e TAC, anche su pazienti esterni, non ricoverati. Inoltre, dal 1995 hanno iniziato a essere ospitati anche pazienti non psichiatrici, dando vita a una situazione residenziale “mista” che dura ancora oggi.
Elisa Montanari
30/10/2015
Aperta sulle colline comasche di Appiano Gentile, la Casa di cura “Le Betulle” venne inaugurata il 3 aprile 1966 alla presenza di personaggi importanti dell’ambiente scientifico milanese, quali Cesare Musatti, Franco Fornari, Elvio Fachinelli. La struttura nasceva infatti su iniziativa dello psichiatra e psicoanalista milanese Augusto Guida, affiancato nell’impresa dal collega Anteo Saraval.
Figlio di Adolfo, chimico-farmaceutico alla Carlo Erba, e di Gianna Pirola, medaglia d’oro al valore civile per aver prestato assistenza infermieristica agli ammalati di spagnola nel 1918, Augusto Guida (classe 1922) aveva lavorato fino a quel momento nelle cliniche neuropsichiatriche delle Università di Pavia, Modena e Milano: presso quest’ultima era stato assistente di Gildo Gastaldi. Aveva inoltre prestato servizio nel Manicomio di Como per circa un anno e mezzo (aprile 1953-settembre 1954). Ma la casa di cura progettata insieme a Saraval era pensata in maniera completamente differente.
La struttura nasceva infatti totalmente “aperta”, senza inferriate alle finestre, né chiavistelli alle porte; accoglieva tutte le patologie mentali (dalle nevrosi più lievi alle forme più gravi di schizofrenie e demenze); i famigliari dei ricoverati potevano entrare in qualunque momento, perché non erano stabiliti giorni e orari specifici per le visite. Completamente immersa nel verde, la casa di cura ospitava in camere singole fino a 50 malati, tutti volontari (trattandosi di una struttura privata, nessuno poteva essere ricoverato e trattenuto contro la sua volontà).
Il percorso terapeutico prevedeva una cura farmacologica sulla quale veniva innestato – laddove possibile – un intervento psicoterapico individuale a sfondo analitico. Inoltre, se da un lato la casa venne dotata fin dal principio di un atelier di pittura, non mancavano gli apparecchi per praticare l’elettroshock: nessuna terapia era infatti rigettata in linea di principio.
Il primo gruppo di lavoro era costituito, oltre che da Guida e Saraval, da Angelo Oliva, Giuseppe Frangini e Roberto Bertolli.
Tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta del Novecento vennero introdotti strumenti diagnostici per praticare esami di laboratorio, quali ecografie e TAC, anche su pazienti esterni, non ricoverati. Inoltre, dal 1995 hanno iniziato a essere ospitati anche pazienti non psichiatrici, dando vita a una situazione residenziale “mista” che dura ancora oggi.
Elisa Montanari
30/10/2015