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Se di norma per essere internati bastava un certificato del parroco o una richiesta dei parenti – la dichiarazione di un medico non era cioè necessaria – va detto che in epoca napoleonica la polizia utilizzò l’internamento alla Senavra come strumento di repressione politica: rinchiudendo fra i pazzi qualche elemento irrequieto o sgradito al governo.
Le terapie che si praticavano erano – secondo i dettami dell’epoca – soprattutto fisiche (bagni, docce, purghe, vescicanti), oltre alla terapia del lavoro (la cosiddetta “ergoterapia”) che occupava circa un terzo dei ricoverati: gli uomini venivano impiegati in attività di piccolo artigianato, le donne in quelle di sartoria. Ma non mancavano le attività ludiche e artistiche. Nel 1864 l’allora direttore Cesare Castiglioni fece impiantare un teatrino in una sala del manicomio, e un pittore internato di nome Bossi ne dipinse le scene. Durante le rappresentazioni si rendevano possibili incontri fra ricoverati d’ambi i sessi, nonostante alla Senavra – come in ogni manicomio del resto – vigesse la più rigida separazione tra maschi e femmine. Sotto la direzione di Cesare Castiglioni vennero introdotti anche giochi di società (carte, tombola, gioco dell’oca) e venne allestita una banda.
Fin dalla nascita, la Senavra fu amministrata dall’Ospedale Maggiore, tanto che fino al gennaio 1844 i due luoghi di cura furono diretti dalla stessa persona. Dal febbraio dello stesso anno, invece, la direzione medica della Senavra fu resa autonoma da quella amministrativa. Alla carica di direttore medico furono nominati nel tempo: Giovanni Capsoni (dal 1844 al 1848), Andrea Verga (dal 1848 al 1852) e Cesare Castiglioni (dal 1852 al 1871). Una ulteriore separazione si ebbe nel 1866, quando la gestione della Senavra divenne di competenza della Provincia di Milano.
Pensato per contenere circa 300 persone, il manicomio arrivò a ospitarne circa 400 fra il 1800 e il 1820, e più di 500 intorno al 1850. Nella seconda metà dell’Ottocento quello del sovraffollamento divenne un vero e proprio problema, per risolvere il quale si decise la costruzione di una succursale a Mombello, vicino a Limbiate. Nel 1878 il Manicomio di Mombello divenne il manicomio provinciale di Milano, e la Senavra, dopo aver funzionato per qualche anno come manicomio della provincia di Como e come sede del Ricovero di mendicità, fu abbandonata. Oggi l'edificio ospita la parrocchia del “Preziosissimo Sangue di Gesù Cristo” (Corso XXII Marzo, 50).
Elisa Montanari
17/09/2015
De Bernardi, A., De Peri, F., Panzeri, L. (1980). Tempo e catene. Manicomio, psichiatria e classi subalterne. Il caso milanese. Milano: FrancoAngeli.
Gerosa Brichetto, G. (1966). Storia della Senavra. Milano: Boniardi.
Voluta dall’imperatrice Maria Teresa d’Austria nel 1781, la Pia Casa della Senavra rappresenta il primo nucleo manicomiale della città di Milano. Prima di allora i folli venivano accolti – insieme alle altre categorie di “poveri bisognosi” – presso l'Ospedale di San Vincenzo in Prato, un luogo di carità e non di cura, sprovvisto di personale medico. Il trasferimento al palazzo della Senavra, situato fuori Porta Tosa (oggi Porta Vittoria) – già residenza di Ferrante Gonzaga dopo la sua nomina a governatore di Milano nel 1546 –, avvenne di notte, su carri, nel settembre 1781. Ben presto nel gergo popolare milanese “fenì a la Senavra” divenne sinonimo di “diventare matto”.
Se di norma per essere internati bastava un certificato del parroco o una richiesta dei parenti – la dichiarazione di un medico non era cioè necessaria – va detto che in epoca napoleonica la polizia utilizzò l’internamento alla Senavra come strumento di repressione politica: rinchiudendo fra i pazzi qualche elemento irrequieto o sgradito al governo.
Le terapie che si praticavano erano – secondo i dettami dell’epoca – soprattutto fisiche (bagni, docce, purghe, vescicanti), oltre alla terapia del lavoro (la cosiddetta “ergoterapia”) che occupava circa un terzo dei ricoverati: gli uomini venivano impiegati in attività di piccolo artigianato, le donne in quelle di sartoria. Ma non mancavano le attività ludiche e artistiche. Nel 1864 l’allora direttore Cesare Castiglioni fece impiantare un teatrino in una sala del manicomio, e un pittore internato di nome Bossi ne dipinse le scene. Durante le rappresentazioni si rendevano possibili incontri fra ricoverati d’ambi i sessi, nonostante alla Senavra – come in ogni manicomio del resto – vigesse la più rigida separazione tra maschi e femmine. Sotto la direzione di Cesare Castiglioni vennero introdotti anche giochi di società (carte, tombola, gioco dell’oca) e venne allestita una banda.
Fin dalla nascita, la Senavra fu amministrata dall’Ospedale Maggiore, tanto che fino al gennaio 1844 i due luoghi di cura furono diretti dalla stessa persona. Dal febbraio dello stesso anno, invece, la direzione medica della Senavra fu resa autonoma da quella amministrativa. Alla carica di direttore medico furono nominati nel tempo: Giovanni Capsoni (dal 1844 al 1848), Andrea Verga (dal 1848 al 1852) e Cesare Castiglioni (dal 1852 al 1871). Una ulteriore separazione si ebbe nel 1866, quando la gestione della Senavra divenne di competenza della Provincia di Milano.
Pensato per contenere circa 300 persone, il manicomio arrivò a ospitarne circa 400 fra il 1800 e il 1820, e più di 500 intorno al 1850. Nella seconda metà dell’Ottocento quello del sovraffollamento divenne un vero e proprio problema, per risolvere il quale si decise la costruzione di una succursale a Mombello, vicino a Limbiate. Nel 1878 il Manicomio di Mombello divenne il manicomio provinciale di Milano, e la Senavra, dopo aver funzionato per qualche anno come manicomio della provincia di Como e come sede del Ricovero di mendicità, fu abbandonata. Oggi l'edificio ospita la parrocchia del “Preziosissimo Sangue di Gesù Cristo” (Corso XXII Marzo, 50).
Elisa Montanari
17/09/2015
Bibliografia
Cazzani, E. (1952). Luci ed ombre nell’ospedale psichiatrico provinciale di Milano. Varese: La Tecnografica.De Bernardi, A., De Peri, F., Panzeri, L. (1980). Tempo e catene. Manicomio, psichiatria e classi subalterne. Il caso milanese. Milano: FrancoAngeli.
Gerosa Brichetto, G. (1966). Storia della Senavra. Milano: Boniardi.