Lettera dell’insegnante e pedagogista Gabriella Francia a Giulio Cesare Ferrari (1)

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Varallo, 31 marzo 908

Egregio Dr. Ferrari,
Nonostante il mio desiderio di rispondere immediatamente alla gentilissima Sua per ringraziarla, oltreché degli Studi inviatimi, dei buoni consigli, ho dovuto tardare fino ad oggi per la ragione che le spiegherò. Essendo troppo piccolo il numero degli allievi che mi appartengono, perché io possa seguire la via che Ella mi traccia, mi rivolsi alle autorità scolastiche per avere a mia disposizione un certo numero di fanciulli e fanciulle delle scuole pubbliche. La risposta non è ancora venuta ed io, stanca di attendere, ho risolto di scriverle ugualmente. Sono straniera in questa città e chiamatavi da poco a reggere una scuola privata in cui, per ragioni di partito, sono venute di mano in mano diminuendo le allieve, specialmente per opera delle elezioni della settimana scorsa. Il mio soggiorno che doveva essere temporaneo è divenuto permanente in considerazione di motivi morali, nel sostenere i quali, per debito di cortesia, ho dovuto mostrarmi solidale.
Le mie allieve sono rimaste sette. La 1a ha sei anni; la 2a otto; la 3a nove; la 4a dieci; la 5a undici; la 6a dodici; la 7a quattordici. Appartengono a due famiglie: 4 dell'una e tre dell'altra. Si rassomigliano poco fra sorelle. La considerazione della diversità dei loro caratteri m'ha suggerito l'idea di uno studio psicologico ce, nelle mie intenzioni, non poteva essere né largo né compiuto. Le confesso che il trovarmi dinanzi un disegno di studio come quello che Ella mi presenta, dopo che m'ero già contentata, a forza di riflessioni, di qualche cosa di più modesto, mi ha messa di cattivo umore. Tuttavia non ho nessuna intenzione di rinunciare ai miei propositi. Crede Ella che (dato ch'io l'ottenga) mi riuscirà fruttuoso esaminare fanciulli che non conosco affatto? Intimamente, qui non potrei studiare che le mie sette allieve. I fanciulli che conosco abitano altre città e fanno vita diversissima.
Ad ogni modo ho voluto puntare il mio questionario. Ciascuna domanda ha un fine che spiegherò via via.
1° Quali cose ti fanno contento
2° Quali ti danno dispiacere?
(per stabilire a quali e quante emozioni sia legato nel fanciullo il concetto di piacere e di dolore)
3° Quando sei castigato od offeso che pensi?
(per stabilire in rapporto con una realtà la facilità di un ragionamento di consolazione)
4° Se tu restassi solo al mondo che faresti?
(lo stesso ragionamento di prima in rapporto con una possibilità)
5° Quando hai qualche dispiacere lo dici a qualcuno ed a chi?
(per vedere se si tratti di un fanciullo espansivo o chiuso, se senta più o meno il bisogno di protezione o di liberazione da un peso)
6° Quali fatti della tua vita ricordi meglio?
(mi pare opportuno studiare la tenacità ed il carattere prevalente dei ricordi, in quanto danno un'idea della facilità del fanciullo nel fissare e richiamare in prevalenza emozioni piacevoli o dolorose)
7° A quanti e quali persone vuoi bene?
(studiare il numero, l'età delle persone a cui il fanciullo si è legato per simpatia ed affetto, ragione di questa simpatia ? interessi materiali e morali ? forza di essa)
8° Che cosa vorresti diventare?
(vocazione, suggestionabilità agli esempi, alle letture, senso pratico, desiderio di mutamenti, caratteri dello spirito ? conservatore o non)
Troppi lati dell'anima sono dimenticati in questo schema; ma per quanto io abbia cercato di condensare in otto domande tutto ciò che mi preme di stabilire, mi sono sempre trovata di fronte alla necessità di lasciare molte questioni. Non solo; ma, riflettendo che il fanciullo non ha coscienza di moltissimi fra gli atteggiamenti della sua anima e che di molte forme di autoconsolazione egli si serve inconsciamente, ho abbandonato l'idea di interrogarlo, specificando molti fatti, per farmi dire quanto possa sapere delle proprie reazioni in ciascun caso. Studio che avrebbe dovuto essere accompagnato poi da un'osservazione accurata di ciò che crede di fare.
Ho preferito cercare gli elementi principalissimi che hanno attinenza col problema: sensibilità, aspirazioni e speranze; orientamento dei ricordi, immaginazione in rapporto cogli avvenimenti possibili; forza di assimilazione dei ragionamenti convenzionali, tendenza ad elevarsi ecc., riservandomi di fare quelle deduzioni a cui, nei casi di non risposta o di risposta inconcludente o tarda, mi autorizzassero le altre risposte nel loro complesso. Riguardo agli altri fatti che possono avere relazioni con quelli in questione (sentimento della natura, preferenze per stagioni, paesaggi; sensibilità a certi mutamenti di clima; preferenze per colori, suoni, sapori, spettacoli; attaccamento a forme convenzionali di riposo morale o di ragionamenti di giustificazione; relazione fra la capacità di ragionamenti intellettuali e quest'altra forma di logica ecc.) potrei dedurli dai lavori d'italiano e da osservazioni giornaliere fatte senza un ordine ed una forma prestabilita.
Aggiungendo a ciò tutto quanto mi è possibile di raccogliere intorno alla salute, eredità, vita famigliare, vicissitudini, idee dei genitori, loro metodo di disciplina ecc. giungerei ad avere un complesso di elementi del cui valore potrei giudicare in rapporto con tutto ciò che vi è di cosciente e di incosciente (data l'età) nel fatto che studio. Senza contare che l'aspetto del fanciullo, lo sguardo, la tinta del viso, la timidezza o la franchezza, la deferenza naturale o forzata verso i superiori, i suggerimenti consolatori che non dovrebbero mai giunger all'orecchio dell'insegnante (non che vi giungano spesso), le bugie ecc. ecc. possono deporre intorno al grado di svolgimento di questo potere, quando sia accertata, in un individuo, la forza ingenita di sensibilità morale.
Credo così di averle chiarito meglio che non abbia fatto nella mia ultima lettera le mie intenzioni e le mie possibilità presenti. Voglio sperare che le future saranno maggiori.
Per quanto riguarda l'articolo annuncio [1], la sua offerta mi onora e mi meraviglia. Ella non avrà certamente mancato di indovinare la mia età e la mia coltura; in quanto a me, non so se mi basterebbe il coraggio di esordire, mettendo il mio nome accanto a qualcuno di quelli che leggo nella Sua rivista.
Le sono infinitamente riconoscente e la ringrazio di tutto quello che fa per me. Ma, in certi istanti, ho così luminosa coscienza di camminare sui trampoli, che mi rappresento con ispavento qualche orribile ruzzolone intellettuale da cui mi rialzerei, certo, in uno stato morale deplorevole.
Vedo, purtroppo che le ho inflitto otto pagine della mia orribile calligrafia e faccio punto.
Mi conservi la sua stima e la sua indulgenza e gradisca le attestazioni della gratitudine più profonda.
Di lei dev.
G. Francia
 
[1] G. Francia, Sul problema dell'auto-consolazione, in «Rivista di psicologia», 1908, vol. IV, pp. 363-367, in cui la Francia annuncia il suo prossimo studio con i questionari.
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