Rini Giovan Battista

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4 lettere del medico imbalsamatore Giovan Battista Rini (1795 – 1856):
1) Salò, 23 agosto 1837: Scrive di essere riuscito solo oggi a inviargli un “bariletto” contenente la maggiore parte delle specie di pesci che popolano il lago di Garda conservati “sotto spirito di vino”e spera gli venga per questo perdonato il ritardo, anche in considerazione della sua salute malferma. Giustifica poi i suoi lunghi silenzi epistolari con la convinzione che non sia opportuno tediarlo con lettere che richiedono solo notizie sulla salute, sebbene lui sia sempre molto bramoso di averne. Con questa lettera dunque coglie l’occasione di chiedere direttamente notizie sul suo stato fisico.
Descrive poi i pesci che gli ha inviato, alcuni dei quali sicuramente sconosciuti, molti invece quelli da lui desiderati. Il più grosso è quello volgarmente chiamato “bulbero” (nome scientifico cyprinus carpio), che si pesca normalmente sulla spiaggia tra Desenzano e Peschiera lungo il Mincio, ma si trova in grande abbondanza anche nel laghetto di Mantova, mentre raramente si trova in altre parti del lago. Questo pesce è dotato di pinne armate da una specie di sega robustissima per cui non è possibile prenderlo con il sistema delle reti per quanto robuste, perché è in grado di lacerarle.
Ha contrassegnato con un cordoncino color verde i due “carpioni maschio e femmina”, il “salmo trotta” e il volgarmente detto “proncello”. Con il cordoncino celeste sono le cosiddette “bignaghe” appartenenti alla famiglia delle trote, pesci di piccola taglia dal sapore delicatissimo, che si pescano nel fiume Toscolano e che sono caratterizzate dalle macchie rosse esterne. Al cordoncino giallo sono uniti i “tencoli”, pesci tipici del lago di Garda denominati dal Pollini cyprini benacensi, da non confondere con quelli che vivono nell’Adige e nel Ticino. Nel “bariletto” vi sono anche i tre gamberi di lago, tra i quali il “cancer pulex” detto “saltarello” di cui descrive nel dettaglio le caratteristiche e le modalità di pesca. Oltre ai pesci segnalati con i cordoncini colorati, nel bariletto si trovano altri pesci appartenenti agli “addominali” e ai “cyprini”, tra cui il bardus, la tinca; ed altre specie ancora tra cui gli apodi (murena, anguilla).
Vorrebbe accennare ai suoi lavori di anatomia, ma rimanda ad un altro momento per non dilungarsi troppo. In chiusura chiede di fargli sapere quando si recherà a Brescia o a Desenzano, perché si precipiterà ad incontrarlo.
2) Salò, 7 luglio 1845: Ringrazia per i libri donati, che non ha ancora potuto leggere perché colpito da un forte mal di testa. Si mette a disposizione per qualunque cosa potesse aver bisogno. Intanto gli manda un vasetto con un certo numero di granchietti della specie del cancer pulex, detto volgarmente “saltarello”, difficile da pescare perché in grado di lacerare le reti da pesca; ritiene come il Pollini che questo granchietto rilasci un umore con la bocca che corrode i tessuti.
3) Salò, 29 agosto 1846: Scrive essendo “debitore” di tre lettere nei confronti di Panizza. Espone i motivi del ritardo. Lo ringrazia a nome del dottor Filippini per il contenuto della prima lettera. Risponde alle altre due lettere, che interessano il professor Rossi, per quanto gli permetta la memoria; molto tempo è passato dagli anni di Pavia con il professor Rossi e la sua salute malferma, che lo ha costretto ad esercitare una professione “zoppa”, ha fatto anche “scemare” in lui l’ardore per la ricerca. Non ricorda infatti quando e quanto a lungo si fermò il prof. Rossi a Pavia, ma ben rammenta il forte desiderio di apprendere e l’assiduità negli studi e nella frequentazione del gabinetto anatomico e dei laboratori. Ricorda anche di aver spesso discusso con Rossi di anatomia e in particolare della questione della comunicazione del sistema linfatico e venoso. Non si ricorda di altri che frequentarono nel periodo di Rossi la scuola di Panizza, non sa quindi indicare altri possibili testimoni. Chiede di tenerlo informato sulla “faccenda”.
4) [s.l.], agosto [s.a.]: Si scusa per il ritardo nel rispondere alle sue lettere e alle richieste formulate. Risponde ora perché avrebbe voluto prima procurasi quanto desiderato da Panizza per inviarglielo. Infatti, non appena ricevuta la sua richiesta, ha interpellato diversi pescatori di Torbole e persone intelligenti che si trovano vicino al fiume Sarca, per avere gli “anguillini filari”. Purtroppo però non fu possibile trovarne. Essendo però convinto che ve ne possano essere, in seguito ad alcune sue osservazioni confermate dai pescatori, proseguirà nella ricerca. Sono state infatti viste in primavera lungo il Sarca degli ammassi di piccole anguille “avvitichiati insieme, le più piccole eguaglianti in grossezza il dito mignolo, formanti un solo ammasso, il sorprendente numero di 30 o 40 pesci, posto in un fondo melmoso”. Questi non sono facilmente pescabili perché fuggono dalle maglie delle reti, lasciandole “imbratate di sostanza glutinea”. Considerata l’esistenza di così tante anguille nel Sarca, gli pare altamente probabile la presenza degli anguillini filari.
Ribadisce il suo dispiacere per aver tardato tanto a rispondere, ma è stato anche colpito da un grave dispiacere di famiglia: il fratello maggior si è separto da lui e dall’altro fratello Ignazio, lasciandoli in condizioni economiche critiche. Questo accadimento ha “tolto lena ai lavori anatomici” dei quali si interessava e grazie ai quali aveva vinto il primo premio all’esposizione di Brescia per alcune teste di mummia da lui preparate.

Estremi cronologici

1837-1846

Collocazione fascicolo

b. 06, fasc. 124
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