Pietro Petrazzani
Castelnovo ne’ Monti (Reggio Emilia), 6 Agosto 1858 – Reggio Emilia, 23 Aprile 1948Biografia
Nato a Castelnovo ne’ Monti, nell’Appennino reggiano, da una famiglia di origini modenesi, compì gli studi liceali a Modena, trasferendosi poi a Firenze, dove si iscrisse alla Facoltà di medicina. Si laureò a pieni voti nel 1882 e l’anno seguente divenne assistente di Cesare Federici, direttore della Clinica generale medica fiorentina. In seguito ottenne l’incarico di aiuto e, nel 1886, la libera docenza in patologia speciale medica. Sempre nel 1886 si recò a Reggio Emilia, con l’intenzione di trascorrere un breve periodo di studio e ricerca presso i laboratori scientifici del “San Lazzaro”, il grande ospedale psichiatrico della città.Anche grazie all’offerta di un incarico da parte del direttore del manicomio, il celebre Augusto Tamburini, decise di stabilirsi definitivamente al San Lazzaro, dove entrò in servizio il 1° luglio 1886 con il ruolo di assistente. Qui si distinse subito come uno dei più promettenti allievi della “Scuola reggiana” guidata da Tamburini e già nel 1889 fu nominato medico primario. Svolse poi al San Lazzaro tutta la sua carriera, fra l’altro ottenendo, nel 1907, la carica di vicedirettore dell’istituto. A partire dagli ultimi anni dell’Ottocento, affiancò all’attività di psichiatra quella di militante politico, aderendo al Partito socialista guidato da Camillo Prampolini, del quale divenne amico personale. A partire dal 1899 venne eletto consigliere comunale e, nel 1908, anche consigliere provinciale di Reggio Emilia.
Dal punto di vista scientifico, gli studi di Petrazzani toccarono diversi campi e furono quasi tutti pubblicati sulla Rivista sperimentale di freniatria, pubblicata al San Lazzaro: i suoi interessi spaziarono dalle ricerche sulla pellagra a quelle sui disturbi nervosi collegati all’automobilismo, dalla medicina legale alla psicotecnica nell’orientamento professionale. Si occupò anche di diverse questioni di tecnica manicomiale, essendo, nel periodo attorno al 1908, fra i protagonisti di una accesa discussione sul no-restraint. Egli si pose decisamente contro quelli che definiva gli «abolizionisti a priori» dei più energici mezzi di contenzione in uso nei manicomi.
Nel 1911 pubblicò la sua opera più importante, Le degenerazioni umane, un volume all’interno del Trattato di medicina sociale, diretto da Tamburini e da Angelo Celli per le edizioni Vallardi. Egli vi compì una lunga disanima di tutte le questioni legate al fenomeno delle “degenerazioni”, particolarmente in ambito psicopatologico. Muovendo dalla teoria di Bénédict Augustin Morel e sposando integralmente una prospettiva evoluzionista, Petrazzani vedeva nella degenerazione uno stato biologico ereditario, assolutamente distinto dalla malattia, che doveva necessariamente coinvolgere più generazioni, secondo l’assunto «degenerati si nasce, non si diventa». Le degenerazioni potevano essere più o meno gravi e invalidanti, ma tutte rappresentavano secondo lui una mancanza, un arresto nel processo evolutivo. Contrariamente a Cesare Lombroso, egli negava che il genio potesse essere considerato un degenerato e che esistesse una anomalia specifica del genio stesso. Il degenerato era per lui, in sostanza, un disadattato, costretto a vivere in modo disarmonico con l’ambiente circostante. D’altra parte, Petrazzani riconosceva che, in passato, gli epigoni di Morel avevano senza dubbio esagerato il numero dei degenerati e, soprattutto, avevano inopinatamente moltiplicato l’effettiva incidenza delle «stimmate degenerative» fra i malati di mente.
Sempre nel 1911, il nome di Petrazzani conobbe una certa popolarità anche perché fu nominato, insieme ad Augusto Saccozzi (allora direttore del manicomio criminale di Reggio Emilia), perito psichiatra con l’incarico di esaminare lo stato di mente di Augusto Masetti, il soldato che, nell’imminenza della partenza per la guerra di Libia, aveva sparato contro un ufficiale in una caserma bolognese. I due periti giunsero alla conclusione che Masetti non fosse un anarchico antimilitarista, ma soltanto un degenerato, che aveva reagito in modo patologico al trauma del richiamo sotto le armi e all’estrazione del suo nome per essere inviato in guerra.
Fu proprio l’adesione di Petrazzani alla causa interventista (sia per la guerra di Libia sia, soprattutto, per la prima guerra mondiale) il motivo del suo progressivo allontanamento dal mondo socialista e della successiva rottura con il partito e con Prampolini. A differenza di tanti suoi colleghi del San Lazzaro, egli non fu direttamente coinvolto nella guerra, nei ranghi della “psichiatria castrense”, anche se nel 1916 vi perse l’unico figlio, Nino, morto in battaglia sul Carso. Con il dopoguerra, si avvicinò sempre più decisamente alle posizioni nazionaliste prima e fasciste poi, vedendo anch’egli nel fascismo come molti altri medici e intellettuali dell’epoca l’unico mezzo per ottenere una rigenerazione nazionale e anche l’unico movimento davvero interessato a combattere mali sociali endemici come la malaria o l’alcolismo, in nome di una rinnovata “medicina politica”. Alle elezioni amministrative del 1922, Petrazzani fu eletto in Consiglio comunale, divenendo anche il primo sindaco fascista di Reggio Emilia. Rimase in tale carica fino al 1925, anno in cui lasciò anche il San Lazzaro per andare in pensione, ottenendo il titolo di direttore onorario. Morì a 90 anni, nel 1948.
Francesco Paolella
17/01/2020
Bibliografia
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