Benussi, l’ipnosi e l’“autonomia funzionale emotiva”

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Durante la sua permanenza all’Università di Padova (1919-1927), lo psicologo sperimentale Vittorio Benussi utilizzò a più riprese il metodo ipnosuggestivo. Fu, tra l’altro, la mancanza di un laboratorio ben attrezzato, come quello di cui aveva potuto servirsi all’Università di Graz, che lo indusse ad imboccare una via nuova e originale: utilizzare la suggestione e l’ipnosi come strumenti – sostitutivi o integrativi degli ordinari dispositivi utilizzati dalla psicologia sperimentale – di indagine psicologica. Rispetto all’utilizzo tradizionale dell’ipnosi, intesa – da Mesmer a Charcot – come strumento clinico-terapeutico, Benussi se ne servì come “mezzo di analisi psichica reale”, vale a dire come vero e proprio strumento materiale, atto a scomporre – in senso non puramente concettuale o metaforico, ma appunto reale – i fenomeni della vita psichica dalla loro unità funzionale globale, avvicinando così l’opera dello psicologo a quella del fisico o del chimico.
Pur non formulando una vera e propria teoria della suggestione, egli sviluppò precisi punti di vista al riguardo, anzitutto sgomberando il terreno da un equivoco assai diffuso: ipnosi e suggestione non erano il frutto dell’influenza di una persona dotata di misteriosi poteri su un’altra persona, ma piuttosto l’attivazione di una particolare predisposizione o capacità di trasformazione mentale che ogni individuo possedeva in misura più o meno accentuata e che, alla pari di ogni capacità, poteva essere migliorata con l’esercizio; estranea a tali processi era tanto la volontà dello sperimentatore quanto quella del soggetto, come di per sé estranea alla accessibilità suggestiva era la credulità del soggetto stesso.
Ciononostante, esisteva un certo tipo di rapporto tra soggetto e sperimentatore, che Benussi definì “raccordo suggestivo”. La realizzazione di qualsiasi compito suggestivo presupponeva, in altri termini, un setting particolare, caratterizzato dalla presenza di due soggetti: il soggetto sperimentale, dotato di particolari attitudini e capacità, e lo sperimentatore, dotato di strumenti e di tecniche atte a realizzare quelle stesse attitudini e capacità nel soggetto.
Affrontando il problema del rapporto tra funzioni intellettive e funzioni emotive, Benussi giunse alla tesi dell’“autonomia funzionale emotiva”, volta a dimostrare l’indipendenza di principio delle funzioni emotive dalle funzioni intellettive che usualmente le accompagnano.
Ma come far insorgere stati emotivi in forma insulare pura, ovvero senza ancorarli a delle cause o ad altri processi psichici che possano in qualche modo giustificarli? Come far insorgere in un individuo stati d’animo in modo diretto, senza la mediazione di altre funzioni psichiche? E come verificarli con strumenti oggettivi?
Benussi scoprì uno stato particolare di ipnosi che chiamò “sonno base”, in cui si verificava un annullamento della vita intellettiva del soggetto. Egli lo induceva attraverso una formula suggestiva: “Lei dorme tranquilla, senza pensieri, senza immagini e senza alcuna tendenza a pensieri o a immagini; lei dorme tranquilla e si sente bene”. Il soggetto, al risveglio, ricordava questo stato come un puro sentirsi vivere, un sentirsi se stesso, colorito di benessere e di piacevolezza.
Dopo aver portato il soggetto in sonno base, Benussi innestava su questo stato di ipnosi neutrale una serie di emozioni, di cui poi studiava la relazione col il respiro. Benussi comunicava una formula del tipo: “Ora, in questo niente, si sviluppa uno stato di profonda …”, completata di volta in volta dal termine che designava lo stato d’animo che desiderava produrre. E il soggetto attivava proprio quello stato emotivo in forma “pura”, confermando il fatto che, per quanto a priori potesse sembrare assurdo, era possibile provare e descrivere ad esempio un odio che non fosse avvertito come odio nei confronti di qualcuno o di qualcosa, o una speranza che non fosse speranza di un fatto o di un avvenimento.
Benussi riuscì tuttavia a condurre queste esperienze in modo compiuto su un solo soggetto sperimentale, la dottoressa Margherita Signorelli, che frequentava l’Istituto di psicologia dell’Università di Padova e che era stata scelta per la sua affidabilità suggestiva e per la sua straordinaria capacità introspettiva e descrittiva.
I protocolli in cui la Signorelli descriveva questi stati emotivi puri sono di estremo interesse. Si legge ad esempio nel protocollo dell’odio: «Prima il vuoto totale, poi lentamente: l’odio, ma debole, come se non potessi. Improvvisamente si è sviluppato in modo rapido, sorprendente, come l’impressione di buttarsi. Non avevo nessuna idea, non ricordo di aver detto nessuna parola. Era vivo quel senso di doversi buttare, afferrandosi; mi dovevo buttare, afferrare, non soltanto fisicamente ma, non so come, anche psichicamente. Solo all’inizio ho pensato: è impossibile! Era come una spinta a ricordarmi di qualche episodio di odio. Ma è stato fuggevolissimo. Non è venuto niente. Poi l’odio si è sviluppato compiutamente, in modo lento e poi del tutto improvviso. Lo stato non era né piacevole né spiacevole. Non era comunque né benessere né gioia».
La speranza invece, spiegava la Signorelli, «si è sviluppata leggermente e piacevolmente, un senso di piacere, molto gradevole, non era però calmo moralmente, fisicamente era un guardar lontano in avanti, uno spinger la testa in avanti; anche un dir di sì, ma non so in che senso. C’era una vaga attesa, soddisfazione. Se ne è andata presto (alle parole “adesso è finito!” dello sperimentatore), è stato come un ritrovarmi, un rientrare in me, fisico, specialmente con le spalle e con la testa, ma non solo fisico».
Al fine di ottenere risultati empiricamente fondati, Benussi era consapevole di dover trovare dei metodi di controllo oggettivi, complementari ai protocolli introspettivi, in grado di accertare in modo obiettivo se e in quale forma le modificazioni degli stati di coscienza indotte suggestivamente si realizzassero effettivamente. I risultati già ottenuti a Graz negli studi sui correlati respiratori della menzogna e della sincerità lo convinsero della possibilità di utilizzare l’analisi del comportamento respiratorio, ovvero l’analisi delle particolari forme di respiro che accompagnano gli stati di coscienza suggestivamente indotti. Il controllo veniva effettuato utilizzando uno pneumografo di Marey, in grado di rilevare l’intero ciclo respiratorio. La rilevazione consentita dallo strumento aveva luogo a livello toracico, riguardava cioè i movimenti toracali di contrazione ed espansione. Rendendosi conto che, a differenza di altre risposte fisiologiche, la respirazione era un parametro estremamente complesso, che variava sensibilmente in termini di tempo e di volume, Benussi concepì l’idea di tradurre il parametro bidimensionale rappresentato dal tracciato pneumografico di un ciclo respiratorio (fig. 1) in una “sagoma respiratoria”, ossia in un poligono irregolare (fig. 2), che forniva a colpo d’occhio una serie di informazioni preziose circa il respiro che rappresentava: durata, espansione della cassa toracica, tempi di inspirazione ed espirazione, profondità e velocità inspiratoria ed espiratoria.
Ad ognuno dei cinquanta stati emotivi e pseudo-intellettivi provocati da Benussi in sonno base e analizzati introspettivamente dai soggetti, corrispondeva una forma respiratoria caratteristica e costante. Benussi ne ricavò cinquanta sagome respiratorie, che ritagliò su dei cartoncini e fece raggruppare dai suoi studenti (che non sapevano minimamente che cosa le sagome rappresentassero) in modo ordinato in funzione delle loro somiglianze puramente formali. L’affinità qualitativa riscontrabile tra i vari stati emotivi, attestata dai protocolli introspettivi, trovò un preciso riscontro nell’affinità formale delle corrispettive sagome respiratorie; entrambe sembravano suggerire una vera e propria geometria degli stati emotivi. Per esempio, gli stati emotivi positivi, come la felicità, il godimento fisico, il sollievo e il piacere morale, erano caratterizzati da sagome respiratorie ampie e di tipo rettilineo-biconcavo, mentre gli stati emotivi negativi, come la disperazione, la depressione, il malcontento e l’impazienza, erano tipicamente associati a sagome respiratorie con area piccola e forma biconvessa.
Un articolo recentemente pubblicato (Antonelli, Cattaruzza & Strano, 2020) ha cercato di replicare le ricerche di Benussi sull’autonomia funzionale emotiva, analizzando in 13 soggetti quattro tipi di emozioni, due positive (speranza e felicità) e due negative (disperazione e infelicità). Utilizzando una fascia posizionata attorno al torace e collegata a un computer, è stata indotta una trance ipnotica e strutturata una condizione di “sonno base”, capace di allineare tutti i soggetti sulla medesima linea esperienziale. L’emozione da provare veniva testata per un minuto. Come già stabilito da Benussi, nell’esperire una emozione a connotazione positiva la frequenza respiratoria era ridotta rispetto a quella con connotazione negativa. L’aspetto più interessante della ricerca ha riguardato la “dimensione frattale” dei profili respiratori associati a ogni emozione, un parametro oggi sempre più utilizzato per valutare i segnali biologici nei sistemi naturali. La dimensione frattale del respiro che accompagna ogni stato emotivo ha evidenziato la specificità di ogni emozione, che risulta caratterizzata da una peculiare “impronta digitale” respiratoria.
Nell’archivio di Benussi è presente il manoscritto del suo articolo del 1927 dal titolo “Zur experimentellen Grundlegung hypno-suggestiver Methoden psychischer Analyse” (“Fondamenti sperimentali di metodi ipnosuggestivi di analisi psichica”), accompagnato dalle fotografie di Margherita Signorelli e di un altro soggetto sperimentale durante le sedute ipnotiche.

Mauro Antonelli
30/06/2020

Bibliografia

Antonelli, M. (2018). Vittorio Benussi in the History of Psychology. Cham: Springer.
Antonelli, M., Cattaruzza, S., & Strano, F. (2020). Vittorio Benussi’s “Emotional Functional Autonomy”: Resumption and Re-Evaluation. International Journal of Clinical and Experimental Hypnosis, 68(3) 384-399.
Benussi, V. (1925a). La suggestione e l’ipnosi come mezzi di analisi psichica reale. Bologna: Zanichelli. Ripubblicato in Benussi, 2006, 213-350.
Benussi, V. (1925b). La suggestione e l’ipnosi come mezzi di analisi psichica reale. In Società italiana di psicologia (Ed.), Atti del IV Congresso Nazionale di Psicologia (Firenze 1923) (pp. 35-65). Firenze: Stabilimento Tipografico Bandettini. Pubblicato anche in Rivista di Psicologia, 21, pp. 1-22. Ripubblicato in Benussi, 2006, 191-211.
Benussi, V. (1927). Zur experimentellen Grundlegung hypno-suggestiver Methoden psychischer Analyse. Psychologische Forschung, 9, 197-274. In Benussi, 2006 in traduzione italiana, 351-428.
Benussi, V. (2006). Sperimentare l’inconscio. Scritti (1905-1927). A cura di M. Antonelli. Milano: Raffaello Cortina.

Fonti archivistiche

Aspi Archivio storico della psicologia italiana, Università di Milano-Bicocca, Archivio Benussi, b. 15, fasc. 4.

Fonte iconografica

Figure 1-2: Benussi, V. (1925). La suggestione e l’ipnosi come mezzi di analisi psichica reale. Bologna: Zanichelli.
Figure 3-6: Aspi Archivio storico della psicologia italiana, Università di Milano-Bicocca, Archivio Benussi, b. 15, fasc. 4.
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