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Lipemania

Lipemania

Categoria grammaticale
Sostantivo
Genere
Femminile
Definizione
Composto dal gr. λύπη (‘dolore’) e -μανία (‘fissazione’). Si tratta di un prestito dal fr. lypémanie, voce coniata da Jean-Étienne Dominique Esquirol per definire in termini patologici la malinconia degli antichi, descritta come «monomanie caractérisée par un délire partiel et une passion triste et oppressive» (Esquirol 1838, 404).
Attestazioni d'autore
GDLI, 1834 (Vocabolario universale italiano, vol. IV, Napoli, Tramater)
Verga 1845
Esquirol [trad. ita. Calvetti] 1827

La voce, nella forma francese lypémanie, identificava una particolare tipologia di monomania (forma di alienazione riconducibile a un’ossessione per un’idea o una categoria di idee, che non compromette le altre capacità di raziocinio) caratterizzata da una tristezza costante e da una visione pessimistica della vita, e spesso accompagnata da tendenze suicide. Venne impiegata per la prima volta nel 1819 da Esquirol, medico allievo di Philippe Pinel e attivo presso l’ospedale parigino della Salpêtrière, nell’ambito dell’articolo Mélancolie, apparso a sua firma sul Dictionnaire des sciences médicales (Esquirol 1819), poi confluita in Des maladies mentales considérées sous les rapports médical, hygiénique et médico-légal (Esquirol 1838). Nel 1827 Luigi Calvetti, medico dell’Ospedale Maggiore e della Casa dei Pazzi di Bergamo, tradusse quello e altri articoli che lo psichiatra francese aveva pubblicato sul Dictionnaire, sistematizzandoli, con il fine di favorirne la diffusione nella penisola, in un’opera organica in due volumi, dal titolo Della alienazione mentale o Della pazzia in genere e in ispecie (Esquirol 1827): testo nel quale si registra la prima attestazione in lingua italiana del lemma lipemania.
Se già dagli anni ’30-40 dell’Ottocento, negli scritti di ambito medico-scientifico, si registra con maggiore frequenza la voce lipemania, una svolta per la sua diffusione si ebbe con la pubblicazione, da parte del medico Andrea Verga, padre della psichiatria italiana, dello studio Sulla lipemania del Tasso. Frammento d’un lavoro sulle allucinazioni (1845), apparso sul «Giornale dell’I. R. istituto lombardo di scienze, lettere ed arti». Si tratta di una vera e propria patobiografia del letterato, fondata sulle lettere famigliari e sulle biografie più accreditate (tra cui spicca quella di Giovanni Battista Manso), nella quale Verga ripercorre i diversi stadi dell’alienazione tassiana sin dall’infanzia: se «egli sentì a 29 anni i prodromi della lipemania», è a 30 che raggiunse il «delirio lipemaniaco» (Verga 1845: 39-40). Il medico attribuisce caratteristiche ascrivibili alla lipemania non solo al personaggio Tasso, ma anche allo stile di alcune sue lettere, rintracciabile anche in altri celebri letterati («Gian Giacomo Rousseau, Bernardino Saint-Pierre e Zimmermann devono al sentimento d’una ingiusta persecuzione il colorito particolare ed il fuoco di alcune loro opere», ivi: 53).
Lo studio di Verga riscosse ampio consenso anche presso Cesare Lombroso, che lo cita in Genio e follia e che impiega spesso la voce lipemania tanto in riferimento a eminenti esponenti del mondo culturale (il musicista Schuhmann «a 23 anni è in preda a lipemania», Gerolamo Cardano ha «idee lipemaniache», la lettura delle opere di Rousseau permette di percorrere le «torture interne d’un lipemaniaco», in Lombroso 1872: 32, 36, 43), quanto per descrivere alcune forme di alienazione dei criminali ne L’uomo delinquente (1876). D’altra parte, già nei suoi appunti diaristici del 1855, in una sorta di autodiagnosi, scriveva: «Ho osservato su me tutti gli stadi delle manie più diverse. Ipocondria, lipemania, demenza» (in Lombroso Ferrero 1915: 47).
La voce lipemania si registra anche nella prosa di Paolo Mantegazza, impiegata per indicare una tra «le forme della pazzia degli ubbriaconi che occorrono più frequenti»: «La lipemania degli ubbriaconi si distingue soprattutto per le allucinazioni; ora ha forma d’accessi che ricompajono a lunghi intervalli, ed ora continua lenta e inesorabile per mesi ed anni, lasciando poi dietro di sé l’imbecillità, la demenza e la paralisi generale» (Mantegazza 1871, vol. I: 364).
Se, come notava Andrea Verga, nel 1845, all’altezza dell’uscita del suo studio, «le distinzioni di monomania e lipemania non sono ancora passate dai confini della scienza nei campi della letteratura» (Verga 1845: 49), è attestato che, nella seconda metà dell’Ottocento, le diagnosi di lipemania si moltiplicarono anche nell’ambito della finzione letteraria. Luigi Capuana, lettore attento e appassionato di studi di divulgazione scientifica, in un articolo dedicato a Giovanni Prati rintraccia i «caratteri della lipemania» nell’«irresistibile tendenza al suicidio» (Capuana 1872: 406) di Armando, protagonista dell’omonimo poema del 1868; di lipemania viene dichiarato affetto anche lo zar Alessandro ne La Libia d’oro di Giuseppe Rovani («Affabile per natura e apparentemente buono, diventava intrattabile quand’era assalito dal tristo umore», in Rovani 1868: 341), come anche il personaggio di Mastro Paolo nel romanzo Il tesoro di Donnina di Salvatore Farina (1873: 186); non manca un accenno alla «cupa e feroce lippemania con tendenza al suicidio, all’incendio, all’omicidio» nelle parole dell’«egregio dottor ***» che accompagna Paolo Valera in visita ai mentecatti del manicomio milanese della Senavra (1879: 150).
Significativamente, la voce lipemania ricorre anche nella prima redazione di Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Carlo Emilio Gadda, apparsa su «Letteratura» negli anni 1946-1947, in riferimento alla defunta Liliana Balducci («La sua disperazione e la sua speranza (vana) si erano coagulate in una lipemania», in Gadda 1989: 397), poi sostituita, nella redazione finale, dall’espressione «follia malinconica»: voce, la prima, della «“vecchia psicologia”», il cui impiego, nota Amigoni, potrebbe leggersi come «tentazione di appiattire il discorso freudiano su precedenti (e forse meno invadenti) prospettive culturali», come «indizio di una resistenza ideologica» alla psicoanalisi (Amigoni 1995: 99).
 

Matilde Esposito
21/07/2025
Bibliografia
Amigoni, Ferdinando (1995), La più semplice macchina. Lettura freudiana del «Pasticciaccio», Bologna, Il Mulino, 1995.
Capuana, Luigi (1872), Giovanni Prati, in Il teatro italiano contemporaneo. Saggi critici nuovamente raccolti e riveduti dall’autore, Palermo, Luigi Pedone Lauriel: 394-415.
Esquirol, Jean-Étienne Dominique, Mélancolie, in Dictionnaire des sciences médicales, par une société de médecins et de chirurgiens, t. XXXII, Paris, Panckoucke, 1819, pp. 147-183.
Id., Della alienazione mentale o della pazzia in genere e in ispecie, del professor Esquirol, versione di Luigi Calvetti, medico ordinario dell’Ospedale Maggiore e della Casa dei pazzi di Bergamo, con undici tavole in rame, vol. I, Milano, Coi Tipi di Felice Rusconi, 1827.
Id., Des maladies mentales considérées sous les rapports médical, hygiénique et médico-légal, t. I, Paris, Chez J.-B. Baillière, 1838.
Farina, Salvatore, Il tesoro di Donnina. Romanzo, Milano, Tipografia Editrice Lombarda, 1873.
Gadda, Carlo Emilio, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana (redazione di “Letteratura”, 1946-47), in Romanzi e racconti, a cura di Giorgio Pinotti, Dante Isella, Raffaella Rotondi, vol. II, Milano, Garzanti, 1989, pp. 281-460.
Lombroso, Cesare, Genio e follia, Seconda edizione completamente rifusa ed ampliata, Milano, Brigola, 1872.
Id., L’uomo delinquente studiato in rapporto alla antropologia, alla medicina legale ed alle discipline carcerarie, Milano, Hoepli, 1876.
Lombroso-Ferrero, Gina, Cesare Lombroso. Storia della vita e delle opere narrata della figlia, Milano-Torino-Roma, Fratelli Bocca, 1915.
Mantegazza, Paolo, Quadri della natura umana. Feste ed ebbrezze, 2 voll. Milano, Tip. Giuseppe Bernardoni e Libreria Brigola, 1871.
Rovani, Giuseppe, La Libia d’oro. Scene storico-politiche, Milano, Radaelli, 1868.
Valera, Paolo, Milano sconosciuta, con lettera all'autore dell’avvocato Francesco Giarelli, Milano, Bignami, 1879.
Verga, Andrea, Sulla lipemania del Tasso. Frammento d’un lavoro sulle allucinazioni, in «Giornale dell’I. R. istituto lombardo di scienze, lettere ed arti», vol. VI, 1845, pp. 38-54.