Cecchi Emilio

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Cinque lettere del critico letterario Emilio Cecchi (1884-1966) a Pieraccini:
1) [Roma, 1922]: racconta al cognato che a Firenze nel 1915/16 ha conosciuto il poeta Dino Campana, autore della raccolta Canti orfici, nella quale ha trovato "alcune fra le pagine più belle che forse sieno state scritte, in questi ultimi tempi, in Italia" e sulla quale ha scritto un articolo per il quotidiano romano "La Tribuna" del 21 maggio 1916. Poiché ha saputo da un articolo di Bino Binazzi su "Il Resto del Carlino" (12 aprile 1922) che Campana, ricoverato al manicomio di Castelpulci, continua a lavorare, ma che i medici non consentono di vedere le sue carte, chiede l'intercessione di Pieraccini per poterle leggere, dicendosi inoltre disposto ad esaminarle insieme a lui.
Aggiunge che non c'è nulla di nuovo per la Commerciale e di aver saputo che a Roma il Credito ha licenziato altri giovani impiegati.
2) Roma, 20 aprile 1934: informa Pieraccini che sarà a Firenze il 25 aprile e che vorrebbe passare a trovarlo il 26 o il 27 per salutarlo e per parlargli di un articolo che ha intenzione di scrivere per il "Corriere della sera" sul manicomio di Arezzo. Acclude due ritagli con i pezzi che ha dedicato al manicomio giudiziario di Aversa e al riformatorio femminile di Airola, aggiungendo che il direttore di Aversa, Filippo Saporito, lo ricorda con piacere. Riferisce che Gina è passata domenica.
3) Roma, 21 marzo 1935: si compiace che il cognato abbia apprezzato il suo articolo, rammaricandosi tuttavia che non sia uscito sul "Corriere della sera", malgrado il giudizio positivo del direttore Aldo Borelli. Ritiene che quello che Pieraccini dice della "rappresentazione eidetica" somigli alla "sintesi a priori di Kant" e all'intuizione artistica. Aggiunge che gli piacerebbe discorrere insieme del processo della memoria, tema che lo affascina e sul quale ha preso svariati appunti, spiacente che non ci sia mai il tempo "di fare le cose veramente interessanti". Conclude con una frase di Victor Hugo che gli pare particolarmente pertinente: "Nul de nous n'a l'honneur d'avoir une vie qui soit à lui".
4) s.l., 10 novembre 1937: in viaggio verso New York, scrive al cognato, che non ha ancora salutato a differenza di Gaetano che ha incontrato a Firenze e di Guido, al quale ha scritto da Roma. Ringrazia Pieraccini e sua figlia Lalla per le premure usate verso Dario, in occasione del suo soggiorno ad Arezzo. Informa il cognato che starà fuori almeno sei mesi. Chiude con saluti estesi a Piero, Lalla, Gina e agli altri.
5) Roma, 14 ottobre 1946: ringrazia per le lettere che ha mandato a lui e ad Amalia tramite Teresa e che gli sono di conforto e incoraggiamento. Anche lui trova che sua sorella Amalia non stia peggio e che probabilmente riuscirà a recuperare anche questa volta, nonostante con il trascorrere degli anni le forze sembrino diminuire. Ringrazia per il libro su Ottaviano Pieraccini e Roberto Veratti [Per una stessa fede vissero uniti e caddero, Milano 1946], che hanno subito letto e fanno leggere. Informa Pieraccini di avere parlato con l'amico Aldo Bizzarri, reduce da Mauthausen, il quale però non ha saputo dire nulla del povero Ottaviano, che non ha mai incontrato. Racconta che la moglie Leonetta è caduta dalla bicicletta il 23 settembre con conseguenze alla gamba sinistra da cui sembrava essersi poi ripresa. All'inizio di ottobre sono subentrati episodi improvvisi di febbre alta che hanno fatto temere un principio di risipola, scongiurato grazie alla somministrazione di sulfamidici. Invia saluti a tutti, con l'auspicio di potersi presto recare in Toscana, dove manca ormai da anni.
E' inoltre presente uno stralcio dal "Corriere della sera" (12 luglio 1927) con un pezzo di Pietro Pancrazi intitolato Cecchi, o l'articolo, pubblicato in occasione dell'uscita del libro di Emilio Cecchi, L'osteria del cattivo tempo, Milano 1927. 

Estremi cronologici

[1922] – 14 ottobre 1946

Consistenza

9 carte

Collocazione fascicolo

b. 2, fasc. 3
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