Ospedale psichiatrico provinciale di Parma in Colorno

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Fu nel 1818, sotto il regno di Maria Luigia d’Austria, che a Parma si assistette a un primo organico progetto di ospedalizzazione dei folli nell’ex convento di San Francesco di Paola, in Strada Maestra di Santa Croce (ora via d’Azeglio). Il 9 settembre 1819 fu emanato il regolamento della struttura, in cui si dettavano le norme per l’amministrazione, la cura e l’assistenza ai malati di mente, e il giorno successivo l’ospedale venne aperto al pubblico, con una capacità iniziale di trenta ricoverati.
Il 29 aprile 1822 un decreto ducale stabilì che l’Ospedale di San Francesco fosse dichiarato “Spedale centrale dei pazzerelli di tutti i Nostri Stati” e che fosse ampliato fino ad accogliere novanta infermi. Dopo pochi anni, tuttavia, la struttura si rivelò insufficiente al ricovero di un sempre maggior numero di malati, molti dei quali affetti da pellagra. Le relazioni tecniche e i lavori di adattamento si susseguirono senza trovare una soluzione definitiva. L’ospedale fu anche temporaneamente chiuso, dal 15 settembre 1854 al dicembre 1855, quando i pellagrosi deliranti furono ospitati nell’Ospedale della Misericordia.
Con la nascita del Regno d’Italia e la sua unificazione amministrativa, attuata con la legge del 20 marzo 1865, il manicomio di Parma passò alle dipendenze dell’Amministrazione provinciale, che ne ereditò i problemi. Quando nel 1873 la città fu colpita da una nuova epidemia di colera, l’Amministrazione decise di trasferire in via provvisoria il manicomio nell’ex palazzo ducale di Colorno e nell’ex convento di San Domenico ad esso attiguo.
Il primo direttore del nuovo ospedale psichiatrico fu Lorenzo Monti (1873-1881), che a partire dal 1873 fece stampare il Diario del manicomio provinciale di Colorno, con l’intento di mettere in relazione personale sanitario, autorità provinciali e famiglie dei ricoverati, divulgando al tempo stesso semplici precetti di freniatria per la popolazione. Le aspirazioni riformiste di Monti, come l’introduzione dell’ergoterapia e l’istituzione di una scuola per malati analfabeti, si scontrarono però con le ristrettezze economiche, cosicché Colorno finì per rappresentare un’anomalia nella vicenda psichiatrica emiliana.
Nella seduta del 5 settembre 1877 il Consiglio provinciale deliberò comunque che l’ex palazzo ducale e l’annesso convento fossero definitivamente adibiti a manicomio provinciale, nonostante i numerosi pareri contrari e l’inadeguatezza degli ambienti.
La direzione dell’ospedale passò negli anni successivi a Camillo Fochi (1881-1900), Umberto Stefani (1901-1907), Ferdinando Ugolotti (1909-1925) e Angelo Catalano (1931-1947). Tra le soluzioni proposte per affrontare i problemi cronici del manicomio, nel 1915 venne deliberato l’acquisto di un podere ad Antognano di Vigatto, alle porte di Parma, dove costruire ex novo una struttura ospedaliera. Tuttavia, prima la guerra e poi la vendita del podere nel 1923, impedirono ancora una volta la risoluzione dei problemi.
A poco giovò la costituzione a Parma, nel 1927, della Regia Clinica neuropsichiatrica, in seguito a una convenzione tra l’Ospedale civile, la Provincia e l’Università. In questo modo, infatti, fu risolto il problema dell’insegnamento della neuropsichiatria, ma non quello dell’assistenza ai malati di mente. La nuova struttura poteva ricoverare infatti trenta o quaranta malati, a fronte dei seicento ospedalizzati nel manicomio di Colorno. Nel 1936 la convenzione venne quindi sciolta.
Durante la seconda guerra mondiale i bombardamenti danneggiarono in parte la struttura manicomiale, che venne risistemata definitivamente nel 1948. Il nuovo direttore Luigi Tomasi (1948-1970), nelle relazioni inerenti agli anni 1950-1955, evidenziò le gravi carenze dell’ospedale dal punto di vista tecnico, strutturale e ambientale. Vi erano problemi dovuti a inefficienze negli impianti idrico, sanitario, fognario, elettrico e di riscaldamento. Nel complesso, quasi tutti i servizi lasciavano a desiderare: la camera mortuaria era relegata in un piccolo edificio nel parco, privo di attrezzature, mentre la lavanderia, i laboratori e le officine erano ospitate in strutture inadeguate.
A partire dalla metà degli anni Sessanta, nel quadro del movimento antistituzionale, Colorno si ritrovò al centro dei processi politici e culturali che avrebbero radicalmente trasformato la psichiatria italiana. La sua visibilità nell’ambito della lotta per il superamento dei manicomi è legata alla figura di Mario Tommasini, eletto nel 1965 in Consiglio provinciale tra le file del PCI. L’amministratore comunista fece dell’apertura dell’Ospedale psichiatrico e della liberazione dei pazienti una missione umana e politica: aprì al territorio un luogo da lui stesso definito infernale e violento, e promosse la liberazione dei pazienti attraverso la cura dei legami sociali, della dimensione comunitaria e del lavoro.
Nel 1967 la Provincia di Parma, su iniziativa di Tommasini, finanziò la pubblicazione del volume curato da Franco Basaglia Che cosa è la psichiatria?, nel quale veniva raccontata l’esperienza goriziana, e allestì una mostra fotografica con immagini inedite dei manicomi italiani scattate da Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin. L’inaugurazione della mostra fu accompagnata da una manifestazione di infermieri che sfilarono in città con la camicia di forza, denunciando le difficili condizioni lavorative in cui operavano.
Tra il 1968 e il 1969 Tommasini riuscì a coinvolgere anche il movimento studentesco, che si interessò progressivamente all’ospedale psichiatrico, visto come paradigma estremo della medicina di classe. Dal 27 al 30 gennaio 1969 gli stessi studenti della Facoltà di medicina organizzarono a Parma il convegno “Medicina e psichiatria”, a cui parteciparono, oltre a Franco Basaglia, alcuni ricoverati. Il tema conduttore fu la critica alla psichiatria tradizionale e l’avanzamento di alcune proposte per migliorare le condizioni di cura degli ammalati. Queste proposte divennero poi il cavallo di battaglia degli studenti durante l’occupazione dell’Ospedale psichiatrico di Colorno che si protrasse per oltre un mese, dal 3 febbraio al 9 marzo 1969, nonostante il 28 febbraio un gruppo di fascisti, appoggiati da alcuni infermieri del manicomio, avesse tentato, senza successo, una contro-occupazione.
Dal settembre 1970 al marzo 1971, l’azione di Mario Tommasini venne affiancata da quella di Basaglia, nuovo direttore dell’Ospedale psichiatrico di Colorno.
I cambiamenti avvennero poi gradualmente nel corso anni Settanta, sotto la direzione di Ferruccio Giacanelli, fortemente voluto dallo stesso Basaglia per realizzare la chiusura del manicomio. Fu così avviata la de-istituzionalizzazione degli internati e si realizzò un servizio decentrato, diffuso capillarmente nel territorio. La riforma sanitaria del 1978 segnò infine il passaggio di Colorno alle dipendenze dell’Unità sanitaria locale e la sua chiusura definitiva avvenne alla fine degli anni Novanta.

Paola Panciroli
17/12/2020
 

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Fonte iconografica

Sito web dell'AUSL di Parma, Comunicazione e stampa, Ex manicomio di Colorno.
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