Sezione neurologica dell’Ospedale neuropsichiatrico di Arezzo

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Nel 1926 il Manicomio provinciale di Arezzo cambiò denominazione in Ospedale neuropsichiatrico, a seguito dell’inaugurazione di una sezione neurologica al proprio interno. Il personale in servizio era quello del manicomio stesso, ma la gestione economica e sanitaria era indipendente. Il trattamento dei malati ricalcava quello di un ospedale comune, soprattutto dal punto di vista giuridico, per l’assenza dei rapporti con l’autorità giudiziaria o di pubblica sicurezza previsti per i ricoveri psichiatrici dalla legge 36/1904. Quello di Arezzo fu il primo esempio in Italia di ospedale psichiatrico predisposto a trattare tutte le malattie del sistema nervoso, comprese quelle in cui mancavano del tutto i requisiti di pericolosità e scandalo indicati dalla legge.
L’apertura della Sezione neurologica fu il punto di approdo di un’esperienza avviata durante la prima guerra mondiale, quando l’allora direttore del manicomio aretino Arnaldo Pieraccini – in carica dal 1904 al 1950 – mise a disposizione delle autorità militari l’edificio adibito a infermeria, che il 18 luglio 1915 fu ribattezzato “Padiglione provinciale III Sezione degli ospedali militari di Arezzo”. Era destinato ad accogliere tutti i feriti di guerra ma il particolare contesto bellico favorì la sua graduale specializzazione nel trattamento delle patologie del sistema nervoso: i posti letto nei reparti neurologici ospedalieri non riuscivano infatti a coprire il progressivo aumento dei soldati feriti che necessitavano di tali cure, rendendo necessario l’allestimento di appositi centri neurologici militari. Ufficialmente il Padiglione provinciale non figurava tra questi ultimi; essendo un semplice distaccamento dell’ospedale militare cittadino, doveva accogliere i feriti di guerra senza distinzioni cliniche. Tuttavia, dal punto di vista della pratica sanitaria, le sue attività corrisposero presto a quelle dei centri neurologici gestiti dall’Esercito. La quasi totalità dei 273 soldati accolti tra il 1915 e il 1918 aveva infatti ferite che coinvolgevano in modo diretto il sistema nervoso, secondo la nosografia dell’epoca, anche se il confine che separava alcune patologie neurologiche da quelle psichiatriche non era ben definito, data la frequente presenza di sintomi psichici nelle prime o la possibilità di una loro comparsa a distanza di tempo. Fu proprio la pratica con i soldati feriti a convincere Pieraccini dell’estrema utilità di unire in un unico istituto le due discipline, che avevano in comune l’organo cerebrale come principale oggetto di studio. L’esperienza si dimostrò positiva anche dal punto di vista economico: i proventi delle rette corrisposte dall’Esercito per i soldati inviati al Padiglione provinciale superarono ampiamente le spese di allestimento e di mantenimento, permettendo già nel 1916 l’acquisto di un costoso apparecchio radiologico.
Al termine del conflitto il Padiglione fu riconvertito in reparto infermeria, ma con il passare degli anni la sua organizzazione venne orientata verso il trattamento dei disturbi del sistema nervoso dei degenti presenti nelle sezioni per malati mentali. Il 15 aprile 1926 venne infine inaugurata la Sezione neurologica, o Padiglione neurologico, aperta a tutti i cittadini. Le rette dei ricoverati non gravavano sulle casse provinciali, come nel caso dei malati mentali, ma sul Comune – quando il paziente aveva diritto all’assistenza pubblica – o sui privati. Il nuovo appellativo di Ospedale neuropsichiatrico rifletteva la convinzione dell’inscindibilità della neuropatologia dalla psichiatria, condizione che poteva essere favorita in modo decisivo dalla presenza di sezioni neurologiche nei manicomi pubblici. L’iniziativa riscosse alcune critiche nei dibattiti di settore, per l’inevitabile promiscuità che si veniva a creare, malgrado le divisioni tra reparti, tra “folli” e degenti sani di mente o con sintomi psichici lievi, ma l’esempio fu seguito da altre province che si dotarono di strutture analoghe.
Tra gli anni Venti e Trenta del Novecento, nel contesto delle proposte di riforma della legge sui manicomi avanzate da alcuni psichiatri come Luigi Baroncini e Corrado Tumiati, il reparto voluto da Pieraccini divenne inoltre un modello per quelli che venivano chiamati “Servizi aperti”. L’espressione univa concezioni anche molto diverse tra loro, accomunate dall’intento di rendere l’assistenza psichiatrica più simile a quella ospedaliera, svincolata cioè dagli obblighi della legge 36/1904. Il direttore del manicomio aretino in realtà criticava il parallelo che alcuni facevano tra il Padiglione neurologico, riservato solo alle patologie del sistema nervoso, e i Servizi aperti, invocati invece per i malati mentali. Per Pieraccini erano due categorie che dovevano restare ben distinte: la posizione giuridica dei malati mentali non poteva essere equiparata a quella dei pazienti della Sezione neurologica, i quali non erano considerati pericolosi come i primi. La stessa attività della sezione nel corso degli anni smentì tuttavia la tassatività delle sue affermazioni: la presenza di soggetti con disturbi psichici, a volte anche gravi, non era rara proprio per la stretta connessione tra le due categorie, ammessa tra l’altro dal direttore stesso. Alla prova dei fatti il Padiglione neurologico costituì quindi per alcuni psichiatri un esempio pratico della possibilità di trasformare gradualmente i manicomi da luoghi di relativa reclusione a veri centri di cura e ricerca scientifica sulle malattie neuropsichiatriche.
Durante la seconda guerra mondiale fu necessario trasferire a Siena tutti i degenti dell’Ospedale neuropsichiatrico aretino, a causa dei bombardamenti che coinvolsero l’istituto e che non risparmiarono il Padiglione. Nel luglio 1947 poterono rientrare ad Arezzo, ma le condizioni materiali del reparto rimasero precarie fino a quando, nel 1953, il direttore Marino Benvenuti – subentrato a Pieraccini tre anni prima – avviò il progetto di costruzione di una nuova sezione neurologica, che vide la luce nel 1957 ma restò in funzione per soli diciotto anni.
La legge n. 32 del 1968 sancì la divisione tra neurologia e psichiatria che i reparti neurologici interni ai manicomi volevano evitare, disponendo la loro collocazione nell’ambito degli ospedali generali. Nel 1975 la Sezione neurologica di Arezzo fu quindi aggregata agli Spedali Riuniti della città, nel pieno del processo di riforma della psichiatria italiana che sfociò nella legge 180/1978 e nella conseguente chiusura manicomi in Italia.
 
Marco Romano
11/12/2020
 

Bibliografia

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Romano, M. (2019). Il Padiglione neurologico dell’Ospedale neuropsichiatrico di Arezzo. Da reparto improvvisato durante la Grande guerra a modello di assistenza manicomiale aperta (1915-1938). In D. De Santis (a cura di), Guerra e scienze della mente in Italia nella prima metà del Novecento (pp. 311-329). Roma: Aracne editrice.

Fonte iconografica

Collezione famiglia Pieraccini-Caporali, Arezzo.
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