Giovanni (Gionni) Jervis

Firenze, 25 Aprile 1933 – Roma, 2 Agosto 2009
Vai al menù contestuale

Biografia

La famiglia aveva radici estere e protestanti. Perse il padre Guglielmo (Willy) Jervis, ingegnere alla Olivetti di Ivrea, nell’agosto 1944, fucilato a Villar Pellice per la sua attività di partigiano azionista. Nell’autunno del 1945 si trasferì con la mamma, Lucilla Rochat, dal Piemonte a Firenze. Qui fece il liceo e si laureò in medicina e chirurgia nel luglio 1957, sotto la direzione del patologo Enrico Greppi. Durante gli anni universitari si avvicinò ai temi psicoanalitici – con i quali ebbe un rapporto continuo e ricco di sfumature – attraverso il libro di Enzo Bonaventura La psicoanalisi (Milano 1938).
Nel giugno 1957 si specializzò in Malattie nervose e mentali a Roma. Intanto aveva sposato Letizia Comba, laureata in filosofia e formatasi come psicologa negli Stati Uniti, che lo avrebbe affiancato nelle esperienze professionali fino alla separazione nel 1973.
Dal 1959 aveva iniziato studi di psicologia e psichiatria sociale, collaborando alle ricerche di Ernesto De Martino sul tarantismo in Puglia e sul tema, da un punto di vista culturale e psicopatologico, della fine del mondo (1963). Nel luglio 1961 passò un periodo a Londra, conducendo indagini sociopsichiatriche e occupandosi di problemi organizzativi ospedalieri; due anni dopo ottenne una borsa di studio del British Council per studiare l’assistenza psichiatrica britannica a carattere non custodialistico. Nello stesso periodo si avvicinò a Pier Francesco Galli e al Gruppo milanese per lo sviluppo della psicoterapia (poi Psicoterapia e scienze umane), a cui rimase legato per cinquant’anni.
Intanto aveva proseguito la carriera psichiatrica. Nel 1960 aveva iniziato a lavorare nel Manicomio romano di S. Maria della Pietà e nel marzo ’62 era stato assunto presso il padiglione neurologico Lancisi dell’ospedale San Camillo di Roma, diretto da Lucio Bini. Faceva inoltre consulenze in vari istituti per minori e svolgeva una remunerativa attività privata.
Dal 1964 entrò a far parte del consiglio editoriale della Einaudi che avrebbe lasciato nel 1970 –, contribuendo ad introdurre in Italia autori che sarebbero diventati dei riferimenti. Curò le edizioni e scrisse le prefazioni a Il problema dell’inconscio nella psicologia moderna di Jung (Torino 1964), Eros e civiltà di Marcuse (Torino 1964), Classi sociali e malattie mentali di Hollingshad e Redlich (Torino 1965), Psicoanalisi e metodo scientifico a cura di Hook (Torino 1967), Dialettica della liberazione a cura di David Cooper (Torino 1969).
Durante la specializzazione Jervis si era avvicinato alla politica, attraverso ambienti marxisti fuori dal Partito comunista italiano. Divenne amico di Raniero Panzieri, con cui partecipò alla fondazione della rivista operaista Ombre rosse (1961). Spinto dallo stesso Panzieri, iniziò ad interessarsi al rapporto tra psicoanalisi e marxismo e al problema della psichiatria come strumento di repressione.
Insoddisfatto dell’ambiente romano e del lavoro, che percepiva incoerente rispetto alle convinzioni politiche che aveva maturato, decise di lasciare il San Camillo per dare il suo contributo alla riforma psichiatrica italiana. Nel settembre 1966 si trasferì a Gorizia, per lavorare con Franco Basaglia e altri psichiatri anti-istituzionali in quello che sarebbe diventato il “manicomio liberato”. Su questa esperienza uscì per Einaudi nel 1968 l’Istituzione negata, volume curato da Basaglia ma in pratica concepito da Jervis.
Conseguita la libera docenza in psichiatria nel 1968, l’anno dopo accettò l’offerta della Provincia di Reggio Emilia di andare a dirigere i locali servizi psichiatrici territoriali, indipendenti e alternativi dal Manicomio di San Lazzaro. Con un gruppo di giovani medici e operatori, allo scopo di creare spazi di cura e welfare più vicini alle persone in difficoltà e alle loro famiglie, aprì i servizi verso la comunità. Da questa esperienza, presa a modello in Italia e all’estero, nacque il Manuale critico di psichiatria (Milano 1975), più volte ristampato e tradotto in Francia, Germania e Spagna, riferimento per molte generazioni di psichiatri e operatori, e non solo.
Nel 1976 entrò a far parte del comitato direttivo dei Quaderni piacentini, con cui collaborava da un decennio. In uno scenario politico e sociale che stava cambiando, critico verso le mitizzazioni e gli stereotipi che si erano affermati riguardo ai temi psichiatrici e psicoanalitici, decise che il suo impegno nella psichiatria pubblica militante fosse finito. Nel 1977 si dimise da Reggio Emilia e si dedicò all’attività accademica all’Università di Roma La Sapienza, insegnando prima Teorie della personalità e dal 1988 fino alla pensione, nel 2005, Psicologia dinamica.
Fra anni Ottanta e Novanta era tornato a riflettere su Freud e i freudiani, nel tentativo di uscire dalle opposte dogmatizzazioni positive e negative. Si orientò poi verso l’analisi delle illusioni e credenze sociali, denunciando il relativismo come ostacolo alla comprensione della realtà sociale e confrontandosi con la questione del libero arbitrio.

Matteo Fiorani
30/12/2015

Bibliografia

Corbellini, G., Marraffa, M., & Williams, R. (2012). Contro il sentito dire. Medicina nei secoli, 23 (1) [specie Guarnieri, P. Presente e passato. L’interesse di Jervis per la storia, pp. 55-78 e Dazzi, N. Psicologia dinamica e psicoanalisi nel pensiero di Giovanni Jervis, pp. 157-169].
De Vito, C.G. (2008). I tecnici ragazzini. Operatori sociali, medici e tecnici dei movimenti degli anni Settanta a Reggio Emilia. Tesi di perfezionamento, Scuola normale superiore di Pisa.
Fiorani M., (2010). Intervista a Giovanni Jervis. Medicina & Storia, 10 (19-20), 187-219.
Marraffa, M. (2014). Giovanni Jervis: la ricerca della concretezza. In: G. Jervis, Contro il sentito dire. Psicoanalisi, psichiatria e politica (pp. XIII-XCIV), a cura di M. Marraffa. Torino: Bollati Boringhieri. 

Fonte iconografica

lacosapsy
back to top