La “scuola milanese” di psichiatria nell’Ottocento

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Nel corso dell’undicesimo Congresso degli scienziati italiani, tenutosi a Roma il 23 ottobre 1873, si costituiva la Società italiana di freniatria. Quel nome infelice, “freniatria”, stava a indicare che gli psichiatri italiani (all’epoca chiamati alienisti) decidevano di dar vita a un’organizzazione di chiara matrice medico-organicistica (e non filosofico-psicologica come avevano scelto di fare i colleghi francesi), lontana dallo “spiritualismo” che il termine psyché (anima) avrebbe rischiato di evocare nell’utilizzo della parola psichiatria.
Il milanese Andrea Verga veniva nominato presidente della neonata società. Direttore del manicomio cittadino della Senavra prima e dell’Ospedale Maggiore poi, Verga era all’epoca uno degli alienisti della prima generazione e tra i più autorevoli in campo nazionale. Insieme a Cesare Castiglioni e Serafino Biffi costituiva quella “scuola milanese” di psichiatria che, dall’Unità fino al 1873, rappresentò il punto di riferimento per i colleghi italiani. Era stato soprattutto dalle pagine dell’Archivio italiano per le malattie nervose e mentali, il primo periodico specialistico da essi stessi fondato nel 1864, che Verga, Castiglioni e Biffi avevano cercato di “trainare” i colleghi italiani. Tra le questioni più importanti, la necessità di dotare l’Italia di una rete di manicomi moderni. Da questo punto di vista Milano non poteva certo fare eccezione: la Senavra, il primo “ospedale per matti” della città, sorto per volontà della regina Maria Teresa d’Austria nel 1781, era ormai superato. I quattro piccoli manicomi privati (l’Ospizio Dufour, l’Ospizio Colombo, Villa Antonini e la Senavretta), esistenti dalla prima metà dell’Ottocento, erano destinati solamente a pazienti abbienti, mentre la “divisione psichiatrica” dell’Ospedale Maggiore si costituiva come il luogo di accettazione e di prima osservazione dei casi più urgenti, senza tuttavia garantire quelle funzioni di cura e di studio che solamente un manicomio moderno poteva assicurare.
Consapevoli della situazione, Verga, Castiglioni e Biffi si erano fatti promotori di un progetto per la costruzione di un nuovo manicomio. Al di là delle lentezze burocratiche e dei pantani amministrativi, l’urgenza aveva infine dato una mano: nel 1865, lo scoppio di un’epidemia di colera nella divisione psichiatrica dell’Ospedale Maggiore aveva imposto il trasferimento dei ricoverati. Così ebbe origine il manicomio di Mombello, vicino a Limbiate. Una nascita in sordina che non avrebbe impedito a Mombello di diventare, nel primo Novecento, uno dei più grandi e importanti manicomi d’Italia: tant’è che negli anni Venti la sua progressiva espansione rese necessario l’acquisto di un nuovo terreno ad Affori per la costruzione di una succursale (il futuro “Paolo Pini”).
Dunque Milano si dotava di un’istituzione al passo coi tempi. Rispecchiando l’orientamento scientifico della seconda metà dell’Ottocento, che non vedeva più nel manicomio soltanto un luogo di cura, anche Mombello venne organizzato come luogo che cura: dove tutto poteva contribuire alla cura dei malati mentali (questa almeno l’idea degli alienisti). L’ordine e il lavoro rappresentavano le colonne portanti di quella “tecnica manicomiale” che aveva finito per occupare la maggior parte dei discorsi degli alienisti, nonché delle pagine dell’Archivio italiano per le malattie nervose e mentali.
Certamente non va dimenticato che una scienza giovane, qual era la psichiatria italiana dell’epoca, aveva bisogno di progredire. Non solo luogo di cura (e custodia), il manicomio fungeva anche da luogo di studio e di ricerca, mettendo a disposizione dei medici una enorme quantità e varietà di casi. È interessante notare che proprio nel 1865 – anno di nascita di Mombello – Verga inaugurava le sue “conferenze psichiatriche” presso l’Ospedale Maggiore di Milano. Si trattava di un’iniziativa promossa dalla Provincia di Milano (che dal 1879 avrebbe assunto la gestione di Mombello) per sopperire alla mancanza dell’insegnamento universitario (a Milano l’università sarebbe stata istituita solo nel 1924).
Il manicomio rappresentava dunque il luogo di sviluppo del sapere psichiatrico, certamente, ma anche di altre discipline: psicologia e pedagogia in primis.
 
Elisa Montanari
30/10/2015
 

Bibliografia

Babini, V.P., Cotti, M., Minuz, F. & Tagliavini, A. (1984). Tra sapere e potere. La psichiatria italiana nella seconda metà dell’Ottocento. Bologna: il Mulino. 
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Cazzani, E. (1952). Luci ed ombre nell’Ospedale psichiatrico provinciale di Milano. Varese: La Tecnografica.
De Bernardi A., De Peri F. & Panzeri L. (1980). Tempo e catene. Manicomio, psichiatria e classi subalterne. Il caso milanese. Milano: Angeli
Passione, R. (2008). Il cervello nella rete. Eugenio Medea e il padiglione Biffi. In: Canadelli, E. & Zocchi, P. (a cura di). Milano scientifica (1875-1924), vol. II. Milano: Sironi, pp. 179-198.
 
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