Musatti, la Doxa e il referendum del 1946

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All'indomani del referendum istituzionale del 2 giugno 1946 che sancì la nascita della Repubblica italiana, Cesare Musatti decise di mettere per iscritto una riflessione riguardante un aspetto apparentemente secondario di questa consultazione popolare, in grado però di chiarire le dinamiche alla base del voto e di fotografare la società.
"Referendum istituzionale e classi sociali" è il titolo del dattiloscritto conservato nel Fondo Musatti che voleva analizzare l'errore commesso dall'istituto Doxa di Milano: in linea con l'operato di diverse organizzazioni internazionali, come ad esempio l'istituto americano "Gallup", la Doxa aveva infatti effettuato un sondaggio per stabilire l'esito del referendum. "Diretto da uno studioso, il Prof. Luzzatto Fegiz, particolarmente competente", l'istituto aveva svolto le sue indagini nel mese di maggio, avvalendosi "di appositi agenti distribuiti in tutto il paese" su un campione composito sufficientemente ampio e socialmente variegato.
Il risultato dell'interrogazione pronosticava la vittoria della monarchia con un 48% dei consensi a fronte di un 40% della popolazione favorevole alla repubblica e di un 12% di incerti. Considerando poi che gli incerti, secondo Musatti, avrebbero potuto favorire uno spostamento dell'opinione pubblica verso la monarchia, risultava chiaro come questa organizzazione, ben strutturata e forte delle esperienze straniere, non era stata in grado di prevedere l'esito del referendum. La domanda che muoveva l'analisi era chiara: "Come spiegare allora l'errore?".
Per giungere ad una risposta soddisfacente era necessario innanzitutto allontanarsi dal risultato globale dell'indagine e concentrarsi sui dati pervenuti dalle singole regioni.
Come illustra la figura 1, il vantaggio attribuito alla monarchia dal sondaggio era "abbastanza uniforme per tutte le regioni" e da ciò si poteva dedurre che non vi era stata una mancanza dovuta a "fattori incidentali, a imprecisioni del metodo, o a trascuratezza" ma si era verificato un errore "sistematico".
Il primo abbaglio individuato da Musatti era "psicologico" e riguardò i quesiti posti al campione d'indagine. Sulla base delle esperienze internazionali, per non suscitare reazioni emotive controproducenti, gli interpellati non furono posti di fronte al "dilemma: monarchia o repubblica" ma dovettero scegliere fra alcuni "giudizi particolari" che avrebbero dovuto indicare le loro intenzioni di voto.
Ecco le sei asserzioni proposte:
1) "Le accuse contro l'attuale dinastia sono ingiuste".
2) "Il re può aver sbagliato, ma deve rimanere la monarchia".
3) "La monarchia è superata, ma non è questo il momento per cambiare la forma dello stato".
4) "Quantunque la repubblica rappresenti un rischio, attualmente la monarchia deve essere abolita".
5) "Solo la repubblica permetterà al paese di risollevarsi".
6) "Non so".
L'istituto Doxa considerò favorevoli alla monarchia tutti i soggetti che avevano adottato le prime tre opzioni, mentre la quarta e la quinta decretavano un orientamento repubblicano. In realtà, sottolinea Musatti, questo presupposto era sbagliato. Infatti sia la prima che la terza affermazione – accolta da un 16% degli interpellati – erano tendenziose. Un cittadino avrebbe potuto ritenere ingiuste le accuse ai Savoia o giudicare controproducente il referendum in un momento storico complesso e delicato ma, una volta indetta la consultazione popolare, "aperto il problema della forma dello stato", avrebbe potuto votare per la repubblica.
Oltre a ciò, l'istituto aveva compiuto un secondo e ancor più grave sbaglio, un errore che potremmo definire sociologico: in base ai dati dell'ultimo censimento, la popolazione italiana era stata suddivisa in "categorie professionali" e l'inchiesta era stata svolta su un campione scelto per rappresentare proporzionalmente ogni gruppo.
Come vediamo dalla figura 2, che sulla destra riporta la percentuale dei votanti potenzialmente favorevole alla repubblica, la divisione si era "limitata ad un ristretto numero di ampie categorie" non sufficientemente definite e indicative.
Il gruppo dei "senza professione" era decisamente troppo eterogeneo per poter essere rappresentato da un campione ridotto di intervistati: una "casalinga" poteva essere infatti la moglie di un operaio o di un imprenditore e tra i pensionati vi erano sia possidenti che ex impiegati. Se inoltre si considerava che gli intervistatori della Doxa provenivano presumibilmente dalla "classe media", era probabile che fossero state intervistate più frequentemente persone appartenenti al gruppo "h" ma vicine alla posizione sociale degli operatori, sfalsando così il risultato sul piano generale.
Alla luce di questi eventi, concludeva Musatti, per ottenere un pronostico attendibile l'istituto Doxa avrebbe dovuto "aumentare il numero delle categorie professionali […] e, allo scopo di eliminare la ibrida classe degli aprofessionali, […] raggruppare i cittadini […] per la professione (o condizione) del capo famiglia o di chi comunque provvede al sostentamento".
Tuttavia l'analisi di questo lavoro, oltre a fornire degli spunti utili per altri sondaggi, permise di comprendere meglio e di analizzare con maggiore chiarezza le dinamiche sociali che portarono alla vittoria della repubblica, sicuri del fatto che "alla sua costituzione hanno prevalentemente concorso le classi lavoratrici socialmente meglio definite e più mature nella loro coscienza di classe: il proletariato industriale e il bracciantato agricolo".

Dario De Santis
25/11/2011
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